GIURISTI IN ISRAELE – Dal data washing al furto degli aiuti per Gaza

La terza giornata israeliana della delegazione di avvocati e giuristi italiani si è aperta con un incontro a Tel Aviv con il Senior Director del Consiglio per la Sicurezza Nazionale di Israele.
Il relatore ha introdotto il concetto di “data washing”, paragonandolo a quello di “money washing”, pratica che avviene nell’ambito della criminalità organizzata. «Il fenomeno», ha sostenuto il relatore, «si è verificato per la prima volta proprio in occasione della guerra di Israele ad Hamas e ha fatto sì che i dati riferiti dal cosiddetto ministero della Salute di Gaza, cioè dai terroristi di Hamas, siano stati fatti propri acriticamente dagli organismi dell’Onu che li hanno così “lavati” e rilanciati quali dati credibili».
«Non soltanto l’Onu ha per la prima volta abdicato al dovere di verifica dei dati forniti da Hamas», ha proseguito l’alto funzionario, «ma attraverso i suoi vari uffici non ha mai fatto alcun distinguo tra i morti militari e i morti civili, adeguandosi anche in questo a Hamas e drammatizzando volutamente le sue comunicazioni in merito, così da aprire la strada all’assurda accusa di genocidio nei confronti di Israele».
L’esponente della Sicurezza nazionale israeliana ha infine evidenziato come le informazioni fornite dalle Nazioni Unite abbiano sistematicamente omesso dati tutt’altro che irrilevanti, come la promiscuità imposta da Hamas tra postazioni militari e insediamenti civili e sanitari, esponendo i civili a enormi rischi, l’abuso degli aiuti umanitari da parte di Hamas, che sistematicamente li ha rivenduti a caro prezzo agli abitanti della striscia, la diffusa presenza di terroristi tra il personale dell’Unwra, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso ai palestinesi.

Il successivo incontro con alcuni militari della Divisione diritto internazionale delle Idf ha messo in risalto come l’esercito israeliano sia stato educato al rispetto delle leggi di guerra e dei principi dello Stato di diritto e «chi sbaglia paga»: un argomento di particolare attualità in questi giorni, dopo l’arresto della procuratrice generale delle Forze Armate, Yifat Tomer-Yerushalmi, accusata di avere diffuso un video con abusi compiuti da soldati israeliani su un detenuto palestinese.

Dopo una dettagliata relazione di una rappresentante del Cogat, l’ente governativo israeliano che presiede agli aiuti alla popolazione palestinese nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, la quale ha documentato la difficoltà nel distribuire gli aiuti umanitari nella Striscia a causa della pretesa di Hamas e delle bande ad essa collegate di esercitare il controllo sugli stessi e monetizzarne il valore, il ciclo di incontri della giornata si è concluso con un briefing con una dirigente di Dinah Project, programma israeliano dedicato al recupero delle vittime di violenza sessuale in guerra, indipendente dal governo e di iniziativa accademica.

La relatrice ha sottolineato come lo stesso segretario generale dell’Onu, certo non tenero con Israele, abbia ritenuto accertato che Hamas ha utilizzato la violenza sessuale come arma di guerra sia durante il pogrom del 7 ottobre che nella successiva prigionia degli ostaggi: «il compito che abbiamo ora di fronte», ha detto la dirigente, «è particolarmente gravoso, perché se la violenza sessuale è di per sé un trauma destinato a lasciare segni indelebili nella mente di chi la subisce, quella praticata ripetutamente in condizioni di cattività nei tunnel di Gaza ha certamente un grado di drammaticità ancora più grave».

Per molti dei partecipanti alla delegazione, tra i quali chi scrive, la giornata si è conclusa con la visita alla “piazza degli ostaggi” di Tel Aviv (nell’immagine), tuttora perennemente presidiata da gruppi di cittadini nonostante siano ormai tornati tutti i rapiti non uccisi dai miliziani di Hamas. Tra l’ascolto di un giovane al pianoforte, lo sventolare di cento bandiere con la stella di David, la visita ai diversi banchi che vendono oggetti rievocativi dell’interminabile attesa del ritorno e l’attraversamento del tunnel costruito a immagine e somiglianza degli inferni sotto la Striscia, in cui si è consumata l’agonia degli ostaggi, è sembrato a tutti noi di cogliere in quei diecimila metri quadrati della piazza che piange le morti e invoca la vita, il passato, il presente e il futuro del popolo israeliano: determinazione, orgoglio, dolore, speranza.

Luigi Florio