LA POLEMICA – Emanuele Calò: La realtà taciuta e quella distorta

Mi dispiace molto che al pregevole Convegno Ucei del 12 ottobre 2025 i media abbiano dedicato attenzione soltanto alle espressioni forse anfibologiche del Ministro Eugenia Roccella. Cosa possiamo aspettarci da chi, durante il convegno e in tempo reale, ha comunicato, urbe et orbi le parole della Roccella, perché rientravano nel canale principe della comunicazione ribelle domestica, targato “indignazione”? Povero Marx, povero Engels, povero Lenin, tutti risucchiati nel buco nero dell’indignazione, le cui radici nobili si possono trovare nei fotoromanzi della Lancio, che impazzavano in Italia dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta.

E sì, fa piacere, alla mia strapazzata (e irreversibilmente infondata) vanità, pensare di essere l’unico che di quel bellissimo convegno ricorda l’intervento di Sergio Della Pergola, uno studioso vero che ha trovato il tempo e la voglia di mettere su un’équipe, dimostrando come i mass media italiani più importanti siano tutti schierati nel battaglione unico del pregiudizio e, della contrapposizione a qualsiasi abbozzo di imparzialità.

Visto che si trattava di fornire una notizia appetibile ai media (l’ho letta sul telefonino addirittura mentre il convegno era in corso) non sarebbe stato logico aspettarsi che tali media annunciassero con aria tronfia: “uno studioso di fama mondiale ha dimostrato nel convegno che siamo malati di pregiudizio”. Molto meglio buttarla sull’anfibologia. Non sanno che in spagnolo si dice che “soltanto i bimbi e i pazzi dicono la verità”, ma il loro inconscio ne è pienamente consapevole.

Ebbene, ora che si è trovato il colpevole del pregiudizio (eufemismo) potremmo pure parlarne in giro. Posso pure rinunciare alla primogenitura dell’idea per un piatto di lenticchie (e qui vi è un nobile precedente in Genesi 25:31) al posto di una sontuosa Villeroy con una besciamella vegana, ma mi preme che qualcuno, anziché blaterare sull’universo mondo, si fissi sulla distorsione informativa che sta rendendo impossibile la vita agli ebrei italiani, come puntualmente denunciato dalla Presidente UCEI. Mi rivolgo alle nostre istituzioni, alle nostre scuole, affinché sbandierino ai quattro venti la gloria di essere discriminati dai media e di vedere la nostra realtà biecamente distorta. Nella quale realtà mediatica mancano all’appello il silenzio televisivo sui droni lanciati dall’Egitto col loro carico di armi, sulle esecuzioni portate a compimento da terroristi giunti nelle ambulanze, le prigioni ricavate negli scantinati degli ospedali, i saccheggi dei camion di viveri, rivenduti a caro prezzo alla popolazione, tutto questo ha portato il consenso di Hamas ad un misero (misero?) 50%, lo strangolamento dei bebé Bibas incredibilmente equiparato ai ragazzi col kalashnikov etichettati come bambini, la corte degli ebrei di corte che dice al Corsera romano che Israele per uccidere un terrorista uccide cento civili, ignorando in una botta sola aritmetica e matematica, così come l’astio puntuale che ogni pomeriggio una certa TV dispensa a Israele mentre sorvola su Hamas, la voce alquanto solitaria di Luigi Marattin che invita a distinguere fra aggressore e aggredito.

In tutto questo, quale può essere il ruolo della cultura? Basterebbe rivolgersi all’estero. Apprendo che un ex prigioniero israeliano che ha trascorso quasi 500 giorni nei tunnel di Gaza, ha rivelato che alcuni degli agenti di Hamas che sorvegliavano gli ostaggi israeliani non erano militanti induriti, bensì insegnanti, medici e professori universitari radicalizzati. Ora che la rivoluzione informatica ha messo in crisi i media, arriva dal Medio Oriente un barlume di speranza per il mondo del lavoro: gli intellettuali possono trovare nel ruolo di aguzzini degli ostaggi israeliani una sistemazione senza oneri per il contribuente. Spero che una soluzione così semplice possa trovare il conforto dei giuslavoristi.
Forse dovremmo ascoltare con più attenzione Safran Foer e con minore attenzione gli improbabili capipopolo, perché rischiamo di sorvolare su Safran Foer, e non mi scuso della metonimia: le parole non si limitano a descrivere il mondo, ma lo creano. Certo, ciò somiglia in modo inquietante al pensiero sottovalutato dei Choctaw, laddove tacciono, perché temono che le parole poi acquistino una vita loro. La sola certezza è che per gli ebrei italiani non antisemiti non sia più bastevole isolarsi in un attimo zen, aspettando che tutto passi.


Emanuele Calò