MEDIO ORIENTE – Il Kazakstan nei Patti di Abramo fra petrolio e agricoltura
Nel 1992, poco dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, il Kazakistan del presidente Nursultan Nazarbayev stabilì relazioni diplomatiche con Israele. Quell’anno Israele aprì un’ambasciata ad Almaty, ponendo le basi di un rapporto fondato su scambi energetici, cooperazione economica e collaborazione nel campo della sicurezza. Israele importa dal Kazakistan una parte importante del proprio petrolio, mentre ha contribuito agli sforzi kazaki di diversificazione economica e modernizzazione agricola. Fin dagli anni Novanta le forze armate delle due nazioni hanno sviluppato contatti in materia di antiterrorismo e tecnologia militare, e la visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ad Astana nel 2016 ha confermato l’importanza strategica del legame bilaterale.
Quel rapporto si è ora trasformato in un’intesa più ampia con l’ingresso del Kazakistan tra i firmatari degli Accordi di Abramo. Lo ha annunciato il presidente statunitense Donald Trump in un post sul suo social, Truth, definendo l’intesa «un importante passo avanti nella costruzione di ponti in tutto il mondo» e assicurando che «ci sono molti altri Paesi che stanno cercando di entrare a far parte di questo club di forza». Il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, ricevuto alla Casa Bianca insieme agli altri leader dell’Asia centrale, ha descritto l’adesione come «una naturale e logica continuazione della politica estera del Kazakistan, fondata sul dialogo, sul rispetto reciproco e sulla stabilità regionale».
Per il rabbino capo del Kazakistan, Yeshaya Cohen, la notizia è «entusiasmante, ma non sorprendente» perché «il Kazakistan è un modello di pace e tolleranza». «Vivo qui dal 1994 e sapevo che un giorno sarebbe successo», ha aggiunto Cohen, citando il sostegno del governo alla piccola comunità ebraica locale (circa tremila persone).
Dal petrolio alla sicurezza
Negli anni, Israele e Kazakistan hanno costruito una collaborazione ampia e pragmatica. Israele importa dal Paese centroasiatico circa il 25% del proprio fabbisogno petrolifero e fornisce in cambio tecnologie nei settori dell’irrigazione, della desalinizzazione e dell’agricoltura di precisione. Aziende israeliane operano in Kazakistan in ambiti come l’energia, l’innovazione industriale e la sanità, mentre esperti kazaki sono stati formati in Israele attraverso programmi di cooperazione accademica. In campo militare, le forze di difesa israeliane hanno condiviso competenze su sistemi di sorveglianza e difesa aerea, contribuendo allo sviluppo della capacità antiterrorismo di Astana. Il Kazakistan, da parte sua, ha offerto un canale stabile di dialogo con il mondo musulmano moderato e una piattaforma di cooperazione utile a Israele per rafforzare la propria presenza in Asia centrale.
Alla luce di questi legami consolidati, la decisione di Astana di aderire agli Accordi di Abramo appare come un passo coerente. È in questo contesto, l’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha sottolineato che «uno degli obiettivi chiave del presidente Trump è quello di espandere gli Accordi di Abramo», segnalando che anche paesi come Azerbaigian e Uzbekistan stanno valutando di unirsi all’iniziativa.
L’ingresso kazako negli Accordi di Abramo secondo gli esperti
Diversi esperti concordano nel considerare l’adesione kazaka un gesto soprattutto simbolico, ma con implicazioni politiche significative. Al think tank Atlantic Council, Daniel Shapiro, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, ha osservato che «non si tratta di una grande svolta, ma di un segnale che mostra come lo slancio verso la cooperazione tra Israele e i paesi musulmani resti vivo». Sarah Zaaimi, analista dei programmi per il Medio Oriente, ritiene che l’ingresso di Astana dimostri la possibilità di creare «un blocco pan-abrahamico» che includa Stati musulmani dell’Eurasia interessati a un rapporto più stretto con Washington e Gerusalemme. Andrew D’Anieri, vicedirettore dell’Eurasia Center, sottolinea il pragmatismo kazako: «Astana vuole il maggior numero possibile di partner e punta a rafforzare i legami con gli Stati Uniti e l’Europa». Per Danny Citrinowicz, ricercatore ed ex analista dell’intelligence militare israeliana, l’iniziativa rappresenta «un tentativo di rilanciare il marchio degli Accordi di Abramo» più che un reale progresso verso la pace regionale, mentre Nic Adams, esperto di sicurezza e già consulente del Senato americano, la interpreta come «una mossa strategica per sostenere le iniziative diplomatiche statunitensi e dimostrare cooperazione con Israele».
In sintesi, spiega il Jerusalem Post, l’adesione del Kazakistan «non cambia in modo sostanziale la mappa delle relazioni mediorientali, ma ne allarga i confini simbolici». Per Washington è un segnale di ritorno d’influenza in Asia centrale; per Israele, un consolidamento dei legami con un partner musulmano moderato; per Tokayev, una scelta pragmatica per rafforzare la propria immagine internazionale e mantenere l’equilibrio tra Russia, Cina e Occidente. Dopo oltre trent’anni di relazioni bilaterali, la collaborazione israelo-kazaka trova così una nuova cornice multilaterale che proietta gli Accordi di Abramo dalle rive del Golfo alle steppe dell’Eurasia.
(Nell’immagine, il vertice del 2016 tra il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e l’allora presidente kazako, Nursultan Nazarbaev)