ISRAELE – Trump: «Concedete la grazia a Netanyahu», ma è il primo ministro a doverla chiedere

Dagli scranni della Knesset l’aveva suggerito tra il serio e l’ironico, ora il presidente Usa Donald Trump ha formalizzato per iscritto la richiesta: Israele conceda la grazia a Benjamin Netanyahu. Ma la lettera ufficiale inviata al capo dello Stato, Yitzhak Herzog, non basterà.
Nel messaggio, Trump definisce il procedimento penale contro il primo ministro «una caccia alle streghe politica e ingiusta» e invita Herzog a «permettere a Bibi di unire il Paese». «Ti chiedo di perdonare completamente Netanyahu», scrive il presidente americano, «la sua attenzione non può essere distratta inutilmente. È tempo di consentirgli di guidare Israele verso un’era di pace».
L’inquilino della Casa Bianca prosegue ricordando il suo sostegno a Israele: «Abbiamo raggiunto una pace che cercavamo da almeno tremila anni», afferma, rivendicando i risultati degli Accordi di Abramo. E aggiunge: «Ora che Hamas è sotto controllo e che abbiamo ottenuto successi senza precedenti, è giunto il momento di mettere fine a questa «guerra giudiziaria» una volta per tutte».
Ma, sottolineano gli esperti, senza una richiesta formale di grazia presentata dallo stesso Netanyahu, dai suoi avvocati o da un familiare, il presidente Herzog non può nemmeno avviare la procedura. «Senza la richiesta, la pressione americana o politica è irrilevante», spiega il giurista Netael Bendel sulle pagine di Ynet.
Netanyahu, per ora, non intende chiedere la grazia: una domanda ufficiale equivarrebbe «a un’ammissione politico delle proprie responsabilità», sottolinea Bendel. E anche se la presentasse, il cammino resterebbe impervio.
Il primo ministro israeliano è imputato in tre diversi procedimenti penali, tutti ancora in corso: i cosiddetti casi 1000, 2000 e 4000. Nel primo è accusato di frode e abuso di fiducia per presunti regali ricevuti da uomini d’affari; nel secondo di frode e abuso di fiducia per i rapporti con l’editore Arnon Mozes; e nel terzo di corruzione, frode e abuso di fiducia nella vicenda Bezeq–Walla, relativa a presunti favori regolatori in cambio di copertura mediatica positiva.
La legge israeliana prevede la grazia anche prima di una condanna definitiva, ma solo in circostanze eccezionali, come motivi umanitari, errori giudiziari evidenti o questioni di sicurezza nazionale. «Si tratta di casi rarissimi», osserva ancora Bendel, «e non di strumenti destinati a bloccare un processo politico-giudiziario in corso». Per questo, il parere del Dipartimento per le Grazie – l’organo del ministero della Giustizia che esamina ogni richiesta prima di trasmetterla al presidente – sarebbe quasi certamente negativo: il processo a carico di Netanyahu è ancora in corso, nessuna sentenza è stata emessa e non sussistono motivi giuridici per sospenderlo.
Il presidente Herzog, pur avendo la facoltà costituzionale di decidere in autonomia, dovrebbe farlo in aperto contrasto con la procura generale e contro la prassi consolidata.
Nella lettera Trump insiste: «Bibi è un grande patriota, un leader forte che ha difeso Israele contro avversari formidabili», scrive. «Il mondo deve permettergli di concentrarsi sulla pace, non su un processo ingiusto».
La coalizione di governo ha accolto con favore l’appello del presidente americano, mentre dalle opposizioni si sono subito alzate le barricate. «Promemoria: la legge israeliana stabilisce che la prima condizione per ottenere la grazia è l’ammissione di colpa e l’espressione di rimorso per le proprie azioni», ha dichiarato il leader dell’opposizione Yair Lapid in una nota.