MUSICA – Il mistero del Gulag del giorno prima

La sera del 1° marzo 1953, nella dacia di Kuntsevo, Stalin se ne andò a dormire a notte fonda dopo una cena terminata a suon di gigantesche bevute con Berija, Malenkov, Bulganin e Khruscev.
All’indomani in tarda mattinata le guardie, preoccupate del fatto che Stalin non uscisse dall’alloggio (non si alzava prima delle 11), entrarono nella camera da letto e lo trovarono a terra; l’uomo d’acciaio (ciò significa Stalin) era paralizzato, incapace di parlare e galleggiava in uno stagno di urina.
L’establishment sovietico cadde nel panico, i protocolli di sicurezza bloccavano ogni azione da parte dei delfini del dittatore che esitarono a lungo prima di chiamare i medici, questi furono convocati al capezzale nella tarda mattinata del 3 marzo ossia 48 ore dopo l’ictus; i medici diagnosticarono una grave emorragia cerebrale che lasciò Stalin paralizzato sul lato destro in uno stato comatoso irreversibile sino alla morte che lo raggiunse poco prima delle 10 di sera del 5 marzo.
Il Sevostlag, famigerato Gulag della regione di Kolyma, fu chiuso il 4 marzo (la sua dismissione fu firmata dal Ministero degli Affari Interni a Mosca nel tardo pomeriggio del medesimo giorno) ma Stalin morì il 5 marzo; neanche il gap del fuso orario avrebbe potuto causare ciò poiché il Sevostlag si trovava in una regione quattro ore avanti a Mosca e pertanto la notizia della morte di Stalin sarebbe dovuta arrivare nella remota Kolyma al più tardi durante le prime ore del mattino del 5 marzo.
La liquefazione del sistema concentrazionario dei Gulag iniziò dopo la morte di Stalin, non certo prima; come mai accadde quel che accadde nella Kolyma?
L’anomalia creata dalla centralizzazione del sistema burocratico sovietico che si interfacciava con enormi distanze e numerosi fusi orari non lascia spazio a molte risposte; presumibilmente, lo smantellamento dell’arcipelago Gulag a partire dal Sevostlag era già nell’agenda delle prime misure politiche da adottare da parte della nuova leadership post-staliniana e a quel punto fu sufficiente la notizia del coma irreversibile del dittatore – già circolante nelle alte sfere della nomenklatura – a far decidere il Ministero degli Affari Interni circa l’irrevocabile chiusura dei Gulag. 
I funerali di Stalin si svolsero il 5 marzo 1953, lo stesso giorno dei funerali del grande e perseguitato compositore sovietico Sergej Prokof’ev; tutte le attenzioni giornalistiche e di propaganda furono dedicate a Stalin mentre i funerali dello sfortunato Prokof’ev si tennero con grandi difficoltà nel medesimo giorno in un’atmosfera sommessa e alla presenza di una quarantina di persone.
Nel 1926 Aleksandr Mosolov (foto) scrisse Zavod [Muzyka mashin], episodio sinfonico di linguaggio futurista a celebrazione dell’industria pesante sovietica con l’orchestra che riproduce fischi di sirene, ronzio di macchinari e martelli pneumatici con strumenti a percussione in organico non convenzionali quali una lamina metallica per replicare il suono delle macchine che si surriscaldano e si espandono.
Dal 1927 Mosolov finì sotto attacco dell’Associazione Russa dei Musicisti Proletari, la sua produzione musicale fu attenzionata dall’autorità sovietica, la persecuzione nei suoi riguardi causò nel 1929 la perdita di molti suoi manoscritti musicali; nel febbraio 1936 Mosolov fu espulso dal Soyuz dei compositori sovietici con la falsa accusa di ubriachezza in luogo pubblico e condotta rissosa tenuta presso un ristorante, nel novembre 1937 fu arrestato con l’accusa di attività controrivoluzionaria, condannato a otto anni e trasferito presso il Volgolag dove fu assegnato ai lavori forzati presso la centrale idroelettrica e il bacino artificiale di Rybinsk.
Rilasciato il 25 agosto 1938, la sua condanna fu commutata in cinque anni di esilio ma sino al 1942 gli fu proibito risiedere a Mosca, Leningrado, Kiev; dopo il Gulag, la sua scrittura spiccatamente avanguardistica risultava ormai conforme all’estetica di regime e molto lontana dalle giovanili visioni, tradiva una resa artistica e al contempo una rinuncia a entrare in conflitto con l’autorità sovietica. 
Durante le fatidiche, epocali ore che accompagnarono la caduta del Muro di Berlino fu sufficiente osservare verso quale settore di Berlino fuggivano uomini e donne per apprendere tutto quel che c’è da sapere sul comunismo; alla pari del nazionalsocialismo, il comunismo temeva il pensiero e la speculazione intellettuale entrambe additate come nemiche del popolo, l’autorità sovietica spese le energie più brillanti per sradicare dal proprio tessuto sociale tutto ciò che potesse anche lontanamente relazionarsi a diversità di vedute, riflessione critica, intellettualità al servizio dell’arte. 
Il termine ‘Seconda Guerra Mondiale’ non fu un’invenzione storiografica successiva al conflitto ma lo utilizzò già Hermann Göring nel 1942 riferendosi al fatto che in realtà essa si sarebbe dovuta chiamare ‘Guerra Mondiale delle Razze’; persino tra le parole da sbronzo ideologico qual era questo individuo c’è un barlume di verità poiché, tutte le volte che perdiamo l’umanità e le visioni condivise che da essa discendono, le lancette della Storia girano precipitosamente all’indietro e la civiltà auto-retrocede a livelli di bestialità dove, appunto, si può scientificamente parlare di razze.
Rimarremo a lungo su questo pianeta e ricostruiremo tutto come prima, suoneremo tutta la musica che non è stata mai eseguita; non basteranno mille vite una di seguito all’altra.

Francesco Lotoro

(Nell’immagine, i funerali di Joseph Stalin, ripresi dalla telecamera dell’assistente addetto militare statunitense, il maggiore Martin Manhoff, dal balcone dell’ambasciata americana)