ANTISEMITISMO – L’allarme dell’Osservatorio del Cdec
«Aggressioni in crescita, la demonizzazione porta violenza»
Le parole d’odio nei confronti di ebrei e Israele portano alla violenza fisica. La prova è nelle undici aggressioni documentate dall’Osservatorio antisemitismo della Fondazione CDEC tra gennaio e settembre 2025. «Un dato allarmante, ma che non ci stupisce», commenta Stefano Gatti, ricercatore dell’Osservatorio. «La demonizzazione degli ebrei e dei “sionisti”, portata avanti da politica, influencer e mezzi di comunicazione, genera ostilità e poi violenza. Nel 2025 abbiamo visto una crescita evidente di atti aggressivi: dall’inizio dell’anno, contando anche novembre, arriviamo a 14 o 15 aggressioni fisiche» Fa impressione, prosegue il ricercatore, il confronto con i dati dello scorso decennio: «Dal 2012 al 2016 avevamo registrato solo un caso isolato di aggressione. È un aumento incredibile, e temo che non finirà qui».
Secondo la relazione, tra gennaio e settembre ci sono stati 766 episodi di antisemitismo, 82 in più rispetto allo stesso periodo del 2024. L’aumento riguarda soprattutto gli atti compiuti nel mondo reale, con 238 episodi tra minacce, discriminazioni, graffiti, vandalismi e le stesse aggressioni fisiche. Il report parla di un «netto aumento di casi nel mondo reale» e di un contesto in cui l’ostilità contro gli ebrei si trasforma più facilmente in comportamenti concreti.
L’odio contro Israele
L’antisemitismo legato a Israele è la matrice prevalente, con 390 episodi. La relazione descrive l’uso del termine “sionista” come etichetta generalizzante e denigratoria, caricata di stereotipi antiebraici come crudeltà, complotto e disumanizzazione. Questa distorsione, diffusa anche via social, è spesso l’origine di minacce e atti ostili.
Le discriminazioni sono un altro elemento significativo. Gatti spiega che, dopo la demonizzazione, si passa all’esclusione: «A questo punto cosa fai? Aggredisci e discrimini. “I sionisti non li voglio”: non ti servo al ristorante, oppure peggio». La relazione conferma questa tendenza: sempre più spesso cittadini ebrei, o percepiti come tali, si trovano ad affrontare esclusioni e trattamenti ostili nei contesti lavorativi, scolastici e sanitari, dove l’ostilità si traduce in comportamenti concreti di rifiuto.
La relazione descrive un clima definito «antisemitismo popolare», cioè una crescente accettazione sociale dei sentimenti antiebraici. Questo fenomeno si riscontra in ambiti come scuola, università, politica, cultura e spettacolo, dove si osservano livelli «allarmanti» di indifferenza.
Gli autori delle aggressioni
Gatti evidenzia anche la ricorrenza della matrice degli aggressori: «Gli autori delle aggressioni fisiche sono legati al mondo arabo-islamico e alle seconde generazioni. È un fenomeno che non riguarda soltanto l’Italia, ma l’Europa. È un dato che deve far riflettere per capire come intervenire, anche con l’aiuto della leadership religiosa». In alcuni casi, aggiunge, la reazione del contesto circostante è rivelatrice: «Durante l’aggressione a Milano compiuta da un uomo pachistano ai danni di un gruppo di ebrei haredi, pare che alcuni intorno lo incitassero». Un segnale che Gatti definisce «significativo del clima generale».
Accanto agli episodi offline, la radicalizzazione del linguaggio online resta evidente: 510 episodi avvenuti su social e piattaforme digitali, con insulti, minacce, paragoni con il nazismo e riferimenti alla Shoah usati come strumenti di derisione o minaccia.
Il quadro delineato dall’Osservatorio per i primi nove mesi del 2025 è dunque quello di una crescita dell’antisemitismo sia nei numeri sia nell’intensità degli atti. «È un fenomeno inquietante», conclude Gatti, «perché mai avevamo registrato numeri così alti e non accenna ad arrestarsi».
Daniel Reichel