ROMA – Sinistra per Israele ricorda Rabin: Lavoriamo per la speranza

«Se vivi su un’isola, fai amicizia col mare». Un antico proverbio arabo è stato il filo conduttore dell’iniziativa organizzata da Sinistra per Israele a Roma per i 30 dall’assassinio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Al tavolo dei relatori c’erano due ex ministri, l’israeliano Yossi Beilin e il palestinese Samieh Al Abed. Il primo è stato uno degli artefici degli Accordi di Oslo per conto del governo Rabin, il secondo è stato invece negoziatore per l’Anp a Camp David. In collegamento da Israele è intervenuto lo storico Benny Morris, che ha tracciato un profilo dello statista nato a Gerusalemme nel 1922. Sempre da Israele ha sostenuto l’incontro con un videomessaggio il leader dei Democratici, Yair Golan.
«Due popoli, due stati. La forza che mise in moto quel processo di pace tra due odi e tra due sofferenze è ancora oggi la radice della nostra militanza e speranza», ha affermato in apertura di serata Emanuele Fiano, il presidente di Sinistra per Israele. «Non è una speranza ingenua, ma consapevole. In fondo al tunnel c’è una fiammella microscopica». Fiano ha aggiunto che «la pace si fa con il nemico», come insegna la storia di Rabin, e a questo «servono le leadership forti e coraggiose». Piero Fassino, presidente del Comitato Medio Oriente al Consiglio d’Europa, ha poi sottolineato come «sia israeliani sia palestinesi siano un’isola che vive in mezzo al mare: la loro è una relazione inscindibile». In questo senso «la stagione di Oslo era fondata sul principio che in quella terra coesistono due ragioni: una è il diritto di Israele a vivere in sicurezza, l’altra è l’aspirazione del popolo palestinese ad avere una patria». E se il 7 ottobre e la guerra a Gaza «hanno scavato un solco profondo di odio, rancore e pulsioni distruttive», rispetto all’orizzonte di una possibile convivenza tra i due popoli «noi siamo tra quelli che non si rassegnano». Per Massimiliano Boni (Laboratorio Rabin), l’assassinio del primo ministro d’Israele «non fu un gesto isolato e neppure imprevedibile». Trent’anni sono passati da allora e quella sera di novembre «resta una ferita non rimarginata, la mutilazione di un percorso; un percorso ancora lungo, pieno di dolore, odio e incognite, lo sforzo deve essere quello di guardare avanti, dove la storia ci proietta sempre». Nel suo messaggio, Golan si è soffermato sull’eredità del due volte primo ministro e leggenda dell’esercito: «Quella sera non fu assassinato solo un leader, ma la speranza che incarnava: Rabin ci insegna che basarsi solo sulla forza militare non è una strategia».
Come ha ricordato Morris nella sua ricostruzione biografica, Rabin si convinse della necessità di un accordo con i palestinesi al tempo della prima Intifada. «Era consapevole dei pericoli, ma decise di correrli in funzione di un compromesso», ha esordito. Senza il suo assassinio ci sarebbe stata la pace? Morris è apparso scettico: «Una pace vera no, forse degli accordi marginali». Lo storico ha puntato il dito sia contro “una narrativa palestinese” ostile, sia contro le politiche degli insediamenti.
Beilin e Al Abed, intervistati dalla giornalista Giovanna Pancheri, hanno risposto ad alcune domande sul futuro di israeliani e palestinesi alla luce della stretta attualità, la prima delle quali riguardava l’applicazione del piano Trump. Per Al Abed, «gli accordi non sono mai perfetti, ma costituiscono un passo per andare nella direzione auspicata». Pure il piano Trump «non è perfetto, ma ha elementi che ci possono consentire di guardare al futuro», ha sostenuto. Al Abed ha quindi esortato l’Italia a unirsi ai paesi che hanno riconosciuto lo Stato palestinese, reclamando la costituzione del medesimo e insieme «dignità e rispetto per noi e per i nostri figli». «Trump non è esattamente il mio modello di leader, ma mi ha sorpreso. Ci sono elementi molto importanti nel suo piano», ha dichiarato Beilin. «Non so davvero come sia riuscito a far passare l’ultima risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, ottenendo l’astensione di Russia e Cina. Trump parla di pace, ma la pace ancora non c’è. Nel suo piano ci sono tanti punti controversi, tante contraddizioni. Come risolverli? Se Trump è un mago forse ce la farà». Beilin ha poi aggiunto che avrebbe preferito «un’altra risoluzione in cui fosse stato esplicitato che siccome Hamas a Gaza ha sottratto il potere all’Anp, quel potere va restituito all’Anp; allo stesso tempo avrei voluto che si fosse chiesto a Israele di riprendere i negoziati interrotti nel 2013 per portare avanti il discorso sullo Stato palestinese».

a.s.