ISRAELE – Un quarto degli israeliani pensa di lasciare il paese
Nel corso del 2025 circa un israeliano su quattro ha preso in considerazione l’idea di lasciare lo stato ebraico, almeno temporaneamente. Il dato emerge dal rapporto annuale dell’Israel Democracy Institute, che fotografa uno stato d’animo diffuso: stanchezza, incertezza e una crescente sensazione di assedio sociale ed economico. L’indagine, condotta ad aprile di quest’anno, mostra che il 26% degli ebrei e il 30% degli arabi israeliani valuta la possibilità di emigrare.
Il fenomeno, spiegano i ricercatori, non è uniforme. Tra gli ebrei emerge un profilo chiaro dei possibili partenti: giovani, laici, benestanti, spesso con doppio passaporto. In questa fascia la propensione a partire supera il 60%. Il modello statistico, si legge nell’indagine, «mostra che, combinando reddito alto, giovane età e doppia cittadinanza, la probabilità di voler lasciare Israele può arrivare fino all’80%».
Costo della vita, futuro dei figli, sicurezza: i tre fattori che spingono fuori
Le ragioni del malessere sono: l’aumento del costo della vita, primo fattore ormai percepito come insostenibile, seguito dal timore per il futuro dei figli e dalla prolungata instabilità della sicurezza nazionale. Non si tratta però di un progetto chiaro di emigrazione: il 69% degli ebrei e il 62,5% degli arabi che pensano di partire, aggiungono di non avere un obiettivo definito, ma soltanto il desiderio generale di «lasciare Israele».
L’opinione politica incide sul futuro: tra gli ebrei, oltre il 40% degli intervistati di sinistra e il 35% del centro sta valutando l’idea di andarsene. A destra la percentuale scende al 19%, ma anche qui il dato sale al 34,5% se si considerano i soli laici. «La frattura politica, prolungata dalla guerra e dalle tensioni interne degli ultimi anni, continua a incidere sulle percezioni individuali», sottolinea l’Israel Democracy Institute.
Restare per la famiglia
In un paese dove la mobilità internazionale è sempre più accessibile, il principale fattore che frena l’emigrazione non è economico né politico: è la famiglia. La maggioranza degli intervistati – ebrei e arabi – indica la vicinanza ai parenti come il motivo decisivo per restare in Israele.
Tra gli ebrei pesano anche altre valutazioni: la volontà di crescere i figli come israeliani, la paura dell’antisemitismo all’estero, il senso di appartenenza culturale. Gli arabi israeliani, invece, menzionano più spesso elementi pratici: il rischio di non riuscire a integrarsi altrove, le difficoltà professionali, la necessità di stabilità.
L’Europa prima scelta
Il 43% di chi pensa di emigrare indica l’Unione europea come destinazione preferita, mentre Stati Uniti e Canada si fermano al 27%. Nella scelta contano soprattutto tre fattori: i servizi pubblici, le prospettive economiche e il livello di antisemitismo o di ostilità sociale. Distanza geografica e clima, viene precisato dai ricercatori, sono elementi marginali.Nonostante il desiderio di partire, appena il 10% degli intervistati immagina una separazione definitiva da Israele. La maggior parte non ha un orizzonte temporale definito.
La fuga di cervelli
Se da un lato cresce il desiderio di partire, dall’altro la maggioranza degli israeliani vive con preoccupazione l’aumento degli espatri. Il 58% degli ebrei e il 64% degli arabi ritiene che il fenomeno rappresenti una minaccia per il futuro d’Israele. La paura principale riguarda la possibile «fuga di cervelli»: il 64% degli ebrei e il 73% degli arabi teme se ne vadano proprio coloro che tengono in piedi l’economia e i servizi avanzati.
Al tempo stesso, si legge nell’indagine, l’opinione pubblica mostra una notevole tolleranza nei confronti di chi decide di emigrare. Studi all’estero e ricongiungimenti familiari sono considerati motivi del tutto legittimi; più divisivi, invece, la sfiducia verso il sistema politico o la paura per la sicurezza.
Una crepa nella società
Il rapporto dell’Israel Democracy Institute chiude con una considerazione sul presente: «Il crescente desiderio di partire non racconta semplicemente la volontà individuale di trovare un futuro altrove, ma rivela una crepa più profonda nella società israeliana». Gli autori osservano che il paese vive una fase in cui il legame emotivo con la collettività rimane forte, ma l’ottimismo sul futuro è sempre più fragile. «Le intenzioni di lasciare Israele riflettono un indebolimento della fiducia nelle condizioni politiche, economiche e di sicurezza», concludono gli esperti dell’IDI. «Comprendere i fattori di spinta e quelli di permanenza è cruciale per evitare una nuova ondata di emigrazione di lungo periodo».
d.r.