LIBRI – Un saggio di Giulio Disegni sull’evoluzione storico-giuridica dell’ebraismo italiano, dall’unilateralità alla bilateralità

Con un saggio dal titolo “Le comunità ebraiche dall’unilateralità alla bilateralità”, pubblicato nel volume Riconoscere la libertà religiosa – Tra normativa unilaterale e bilaterale a cura di Francesco Alicino (2024, Rubbettino Editore), Giulio Disegni, avvocato civilista torinese e attuale vice presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, fornisce una preziosa lettura sull’evoluzione storica e giuridica dei rapporti tra lo Stato italiano e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), già Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII) e ancora prima Consorzio delle Università Israelitiche. 
In un periodo storico in cui ogni ambito della società sembra subire significative influenze da parte di fenomeni quali processi di immigrazione, globalizzazione ed ulteriore rivoluzione tecnologica e digitale, situazioni emergenziali dai contorni giuridici inediti quali crisi economico-finanziarie, terrorismo internazionale, pandemie e guerre mettono talvolta in discussione le ragioni dell’uguaglianza dei diritti: tra essi, la libertà religiosa, sempre più esposta alla vasta e incomprensibile varietà delle interazioni sociali.
In occasione del trentacinquesimo anniversario dell’approvazione della Legge n. 101 dell’8 marzo 1989, che ratificò l’Intesa tra lo Stato italiano e l’ebraismo italiano stipulata due anni prima, Disegni elabora un’ampia ricostruzione e ci invita ad una profonda riflessione sui meccanismi che hanno plasmato l’identità istituzionale dell’ebraismo italiano nel corso del XX secolo e oltre.
Questo saggio, ricco di richiami tecnico-normativi, non si limita ad una mera cronaca di eventi legislativi: si tratta piuttosto di un’analisi stratificata che tocca il cuore dell’identità ebraica italiana, sospesa tra l’esigenza di autonomia religiosa e l’integrazione nel tessuto normativo dello Stato.
Il punto di partenza dell’analisi è il netto contrasto tra due ere normative. 

La prima, segnata dalla “unilateralità”, trova la sua massima espressione nella legge sui culti ammessi del 1929 e, specificamente per l’ebraismo italiano, nei regi decreti del 1930-1931: il sistema previgente era caratterizzato da un’impostazione verticistica e calata dall’alto, nel quale lo Stato dettava da solo le regole del gioco, incorporando le comunità ebraiche all’interno di un’organizzazione statuale rigida.
Nell’ambito del sistema normativo introdotto circa un secolo fa, il regime statale di controllo sulle comunità non era frutto di una particolare volontà intrusiva, quanto piuttosto un segno della subordinazione degli enti comunitari ebraici (equiparati agli enti pubblici e inquadrati come istituti di un culto ammesso): il regio decreto 30 ottobre 1930, n. 1731, “Sulle comunità israelitiche e sulla Unione delle comunità medesime”, comunemente conosciuto come legge Falco, e il successivo regolamento di applicazione 19 dicembre 1931, n. 1561, di fatto sottoponevano all’autorità dello Stato ogni forma di attività ebraica, specie quelle organizzate su base collettiva.
L’autore ci offre chiavi di letture e strumenti per comprendere la complessità di quel periodo: se da un lato esisteva il timore di un’ingerenza statale che potesse soffocare l’autonomia comunitaria, dall’altro la dirigenza ebraica dell’epoca vedeva nella riforma giuridica organica uno strumento per ricondurre alla sfera pubblica e rafforzare le istituzioni comunitarie. 
Si trattava di un equilibrio precario, dove la necessità di una regolamentazione interna si scontrava con la logica autoritaria del regime fascista.
La svolta epocale avviene con l’avvento della Costituzione repubblicana e, in particolare, con l’articolo 8, che introduce il principio rivoluzionario della “bilateralità”, secondo cui i rapporti tra Stato e confessioni religiose acattoliche devono essere regolati per legge sulla base di intese con i rispettivi rappresentanti. 
A questo punto lo studio di Disegni diventa ancor più significativo rispetto all’attualità: il passaggio non è solo formale, ma sostanziale, in quanto assistiamo ad un mutamento di paradigma che riconosce dignità e autonomia negoziale alle comunità religiose.
L’intesa tra Stato italiano e l’ebraismo italiano del 1987, poi tradotta nella legge n. 101 del 1989, rappresenta l’attuazione pratica di questo dettato costituzionale: è il momento in cui lo Stato e l’Unione delle Comunità Ebraiche si siedono da pari attorno a un tavolo.
Dopo la vergogna delle leggi razziali, la discriminazione e la deportazione degli ebrei italiani, la Repubblica italiana – in applicazione dei principi costituzionali – riconosce e tutela le peculiarità del mondo ebraico italiano.
La legge n. 101 del 1989 ha dunque fornito un quadro giuridico moderno, capace di disciplinare aspetti cruciali come il matrimonio ebraico, l’assistenza spirituale, l’insegnamento della cultura ebraica e le festività religiose, superando l’obsoleta e limitante legge sui culti ammessi del 1929; il nuovo impianto bilaterale permette di “recepire le peculiarità del mondo ebraico”, riconoscendo in particolare “le Comunità ebraiche quali istituzioni tradizionali dell’ebraismo in Italia e formazioni sociali originarie che provvedono al soddisfacimento delle esigenze religiose degli ebrei secondo la legge e la tradizione ebraiche”.
La riflessione che emerge è quanto questo modello sia stato efficace nel garantire una cornice di libertà religiosa e, allo stesso tempo, di integrazione: l’ebraismo italiano ha così potuto rafforzare le proprie istituzioni, passando dall’essere un “ente incorporato” a un partner autorevole e riconosciuto dallo Stato.
Una delle domande centrali poste da Disegni è se i meccanismi che sono stati posti alla base dell’elaborazione della legge del 1989 siano ancora adeguati ai nostri giorni. 
La società italiana è profondamente cambiata negli ultimi tre decenni: è diventata più pluralista, multireligiosa e multiculturale, e certamente più attenta ai diritti individuali e collettivi.
L’analisi si fa attuale e prospettica: il modello dell’Intesa ha retto alla prova del tempo? La risposta implicita dell’autore sembra essere affermativa, ma con la consapevolezza che il contesto in cui opera è radicalmente mutato: la forza della bilateralità risiede proprio nella sua flessibilità e nella sua capacità di essere un modello di riferimento per altre confessioni religiose che aspirino a un riconoscimento simile.
Non si può non evidenziare come Disegni ponga l’accento sulla centralità innegabile delle Comunità ebraiche nel nuovo assetto istituzionale; che si tratti del Consorzio delle Università Israelitiche nel primo Novecento o dell’UCEI odierna, queste entità hanno rappresentato il fulcro per la tutela degli interessi religiosi e per il rafforzamento dell’identità ebraica nazionale. 
Questo ruolo di “corpo sociale” riconosciuto pubblicamente è un filo conduttore che attraversa l’intera storia dell’ebraismo italiano moderno.
Il contributo di Giulio Disegni costituisce un puntuale e ampio riferimento per chiunque voglia comprendere non solo la storia giuridica dell’ebraismo italiano, ma anche i principi che sottendono il pluralismo religioso in Italia: è una lezione efficace su come il diritto possa e debba essere uno strumento a servizio della libertà e dell’autonomia delle formazioni sociali e religiose.
A trentacinque anni dall’Intesa tra lo Stato italiano e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), emerge un modello che ha saputo coniugare la specificità ebraica con i valori fondamentali della Repubblica Italiana. 
La transizione dall’unilateralità alla bilateralità non è stata solo una questione tecnica, ma un percorso di emancipazione e riconoscimento reciproco: Giulio Disegni ci ricorda che questa architettura della libertà non va data per scontata, ma va compresa, celebrata e costantemente attualizzata nel dibattito pubblico e nella vita quotidiana delle nostre Comunità.

Davide Jona Falco