MEMORIA – Guerra cognitiva, campo allargato e disaffezione: il dibattito all’Ucei
Si avvicina il 27 gennaio e, in vista delle prossime celebrazioni del Giorno della Memoria, il Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, riunito a Roma, ha dedicato un’ampia riflessione al futuro della Memoria e alle modalità con cui le comunità ebraiche italiane intendono affrontare questa ricorrenza in una fase segnata da una diffusa ostilità anti israeliana ed episodi antisemiti.
Dopo il 7 ottobre e il conflitto a Gaza, è in corso «una guerra cognitiva», ha avvertito Renato Sciunnach dell’Ufficio del Coordinatore nazionale contro l’antisemitismo Pasquale Angelosanto: una battaglia combattuta sul terreno della percezione pubblica, in cui la manipolazione dei fatti può riscrivere la memoria collettiva e indebolire i presìdi democratici.
In questo contesto, il consigliere Ucei, Saul Meghnagi, ha ricordato il valore unificante del 27 gennaio per l’Europa e la responsabilità che dovrebbe ricadere innanzitutto sui non ebrei, perché la Shoah è una tragedia dell’intera umanità. Tuttavia, ha sottolineato, in un’epoca di parole deformate e di significati stravolti, alle comunità ebraiche spetta un compito imprescindibile: «Siamo noi a doverne parlare malgrado le ferite, la sofferenza di questo momento, di quello che abbiamo passato nei mesi passati». Per Meghnagi, il Giorno della Memoria è anche un banco di prova civico, soprattutto per le nuove generazioni: «Siete titolari di un diritto fondamentale: quello di essere cittadini di questo Stato». Un principio, ha aggiunto, che «va difeso con una forza e con una legittimità che ci viene dai diritti costituzionali». Da qui il suo appello: «Fate delle vostre forze – soprattutto quelle giovani – lo strumento per affermare questo diritto contro tutti coloro che ci offendono». Ha inoltre annunciato che nuovi materiali didattici, oltre a quelli già presenti, saranno presto disponibili sul sito Ucei dedicati alla Shoah e al contrasto delle distorsioni.
Il confronto si è spostato sulla dimensione giovanile della Memoria. Luca Spizzichino, presidente uscente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia, ha raccontato l’esperienza di un viaggio ad Auschwitz «dai giovani per i giovani», cui hanno partecipato anche ragazzi rom, creando «una piccola famiglia». Un esempio, ha osservato Spizzichino, di come «una memoria condivisa sia più forte». Quanto al dibattito sulla partecipazione alle cerimonie del 27 gennaio in presenza di interlocutori controversi, ha ammonito: «Se siamo in una stanza, è meglio non lasciarla e farsi sentire».
Sul valore del percorso educativo si è poi soffermato l’assessore al Bilancio Ucei, Davide Romanin Jacur, che ha richiamato l’importanza di organizzare viaggi della Memoria che non siano «solo momenti emotivi, ma anche formativi», capaci di intrecciare conoscenza storica, incontro diretto con i luoghi e approfondimento critico.
Il tema del “cammino della Memoria” è stato richiamato da Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma, per il quale «la memoria è un percorso» e il 27 gennaio ne rappresenta il culmine. Un percorso che, ha aggiunto, non può prescindere dalla dimensione emotiva e dal ruolo insostituibile della testimonianza dei sopravvissuti, elemento che resta decisivo per mantenere viva la consapevolezza delle nuove generazioni.
Sempre in quest’ottica, il presidente del Memoriale della Shoah di Milano, Roberto Jarach, ha raccontato l’impegno dell’istituzione a rendere il 27 gennaio una giornata aperta alla cittadinanza, con «porte aperte e visite gratuite» per accompagnare il pubblico nella riflessione e avvicinarlo ai luoghi della Memoria.
Su un «segnale preoccupante» ha richiamato l’attenzione rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova: «Nessuno negli ultimi mesi ha chiesto di visitare la sinagoga». Un dato che, ha osservato, lascia intuire un crescente allontanamento dalla conoscenza dell’ebraismo come realtà viva e non soltanto come oggetto di memoria. «La Shoah ha colpito non solo il popolo ebraico, ma anche l’ebraismo stesso», ha ricordato il rav. Da qui l’esigenza di «rappresentare la nostra identità e i nostri valori» e di spiegare con chiarezza il «rapporto con Israele», affrontando con lucidità questioni che per gli ebrei sono immediatamente sensibili ma che non lo sono necessariamente all’esterno.
d.r.