ISRAELE – L’attesa per le salme degli ostaggi e il nuovo dialogo con Beirut
«Sono io che ho pagato il biglietto per Israele per mio fratello Sudthisak. Ora mi sento in colpa, ma volevo che trovasse se stesso lì». Con queste parole, pronunciate alla radio dell’esercito israeliano attraverso un traduttore, Thepporn Rinthalak racconta il rammarico per aver spinto il fratello a trasferirsi in Israele. Sudthisak Rinthalak è stato ucciso da Hamas il 7 ottobre 2023 nel kibbutz Be’eri e il suo corpo è stato trascinato nella Striscia. Sono passati 789 giorni: la famiglia attende ancora di poterlo seppellire.
«L’unico nostro desiderio è poter celebrare il funerale», ripete Thepporn. Desiderio analogo a quello della famiglia dell’altro ostaggio ucciso il 7 ottobre e ancora trattenuto a Gaza, l’agente israeliano Ran Gvili. Ieri sembrava profilarsi una svolta: tramite la Croce Rossa, Hamas aveva consegnato a Israele dei resti in un punto di passaggio nel sud della Striscia. Ma gli esami dell’Istituto forense Abu Kabir hanno stabilito che non appartenevano né a Rinthalak né a Gvili.
Poche ore più tardi è arrivato un nuovo annuncio. La Jihad islamica palestinese sostiene di aver trovato «il corpo di uno dei prigionieri nemici» durante un’operazione di scavo all’alba a Beit Lahia, nel nord di Gaza, e di volerlo consegnare nel tardo pomeriggio. Le autorità israeliane hanno avviato le procedure previste, ribadendo che «gli sforzi per riportare a casa i due ostaggi non cesseranno fino al loro ritorno per una sepoltura dignitosa».
Da migliaia di chilometri di distanza, la famiglia Rinthalak resta in sospeso. «So che Sudthisak non è più vivo», afferma il fratello. «Voglio solo che ci mandino ciò che resta di lui».
Dialogo Gerusalemme-Beirut
Sul fronte settentrionale si apre un possibile dialogo diplomatico tra Israele e Libano. Sotto la pressione degli Stati Uniti, il governo israeliano ha inviato per la prima volta un rappresentante civile ai colloqui di Naqoura, la località costiera dell’estremo sud del Libano che ospita il quartier generale di Unifil. Gerusalemme definisce l’iniziativa «un primo tentativo» di valutare possibili forme di cooperazione economica con il Paese dei cedri.
A Beirut, appena visitata da Leone XIV, il presidente Joseph Aoun ha nominato Simon Karam, ex ambasciatore negli Stati Uniti, critico verso il gruppo terroristico Hezbollah, come capo della delegazione libanese. Sul lato israeliano ha guidato la delegazione Uri Resnick del Consiglio di sicurezza nazionale. L’inclusione di delegati civili risponde a una richiesta diretta di Washington, che ha sollecitato entrambe le parti a integrare figure non militari nel meccanismo di monitoraggio del cessate il fuoco.
La decisione ha provocato tensioni tra il governo libanese e Hezbollah, rimasto fuori dal processo. Fonti israeliane e statunitensi avvertono che le Idf potrebbero intraprendere un’operazione di ampia portata se Beirut non farà progressi nel contenere e disarmare il gruppo filo-iraniano. Negli ultimi mesi, le tensioni sono aumentate: secondo Tsahal, Hezbollah ha violato più volte il cessate il fuoco del novembre 2024, mentre Israele ha intensificato i propri attacchi contro obiettivi nel sud del Libano, eliminando il capo militare dell’organizzazione terroristica in una operazione a Beirut.
In base agli accordi, Hezbollah avrebbe dovuto lasciare il sud del Libano, mentre a Israele erano stati concessi 60 giorni per ritirarsi dalle posizioni avanzate. Le Idf hanno mantenuto cinque posti di frontiera “strategici”, citando il mancato smantellamento delle infrastrutture del gruppo terrorista. Durante il cessate il fuoco, l’esercito ha condotto centinaia di attacchi aerei e oltre 1.200 operazioni di terra per impedire a Hezbollah di ripristinare le proprie capacità operative. I vertici della difesa in Israele continuano a descrivere il confine nord come «instabile», pur considerando questo nuovo canale diplomatico, spiega il sito Maariv, una possibile occasione per contenere un’ulteriore escalation.