ISRAELE – Dall’esercito all’intelligence, Roman Gofman nuovo direttore del Mossad

La mattina del 7 ottobre, quando le prime notizie dell’attacco di Hamas raggiunsero Ashdod, il generale Roman Gofman lasciò la sua casa e si diresse verso sud, ingaggiando uno scontro a fuoco in cui uccise alcuni terroristi prima di essere gravemente ferito. In ospedale disse: «Abbiamo fallito», aggiungendo poi: «Abbiamo combattuto come leoni e siamo riusciti a fermarli. Ora andremo avanti e li elimineremo tutti». Quell’episodio, riportato da Ynet, è diventato parte integrante del profilo dell’uomo scelto dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, come prossimo capo del Mossad. Da oltre un anno Gofman è uno degli ufficiali più vicini al primo ministro, che ne ha sottolineato il coraggio e le capacità mostrate durante la guerra: «Roman mi ha accompagnato nel periodo più difficile per lo Stato di Israele, dimostrando responsabilità e professionalità. Ho piena fiducia in lui come futuro capo del Mossad». La nomina è ora all’esame di una commissione ad hoc.

La biografia di Gofman
Arrivato in Israele dalla Bielorussia nel 1990 e cresciuto ad Ashdod, Gofman ha raccontato un’infanzia segnata da violenze e l’approdo alla boxe come forma di autodifesa. La frase del suo allenatore – «Quando arriva una minaccia o una sfida, non chiudere gli occhi» – è diventata un punto fermo della sua formazione, ha ricordato il militare in un’intervista del 2022 a Yedioth Ahronoth.
Nel 1995 si arruolò nei corazzati, dopo essere stato scartato dalle unità speciali a causa degli occhiali. «La prima volta che ho viaggiato col capo fuori dal portello, sentendo la potenza del mezzo, me ne sono innamorato», ha ricordato. Dopo il comando di compagnie e battaglioni gli fu affidata la Brigata 7, dove si distinse per la richiesta di un uso più incisivo delle forze di terra. In un incontro con l’allora capo di stato maggiore, Gadi Eisenkot, dichiarò: «Siamo pronti a combattere. Il problema è che non ci impiegate», definendo «un modello molto problematico» la tendenza dell’esercito a evitare lo scontro diretto.

L’affaire Elmakayes
Un’inchiesta di Haaretz ha rivelato che, mentre nel 2021 era alla guida della Divisione Bashan, responsabile del fronte siriano, Gofman autorizzò due ufficiali dell’intelligence a coinvolgere un diciassettenne, Ori Elmakayes, chiedendogli di diffondere sui social informazioni riservate nell’ambito di un’operazione di influenza non approvata dai vertici militari. Il giovane fu arrestato dallo Shin Bet e detenuto per oltre un anno con accuse di spionaggio, finché non emerse il ruolo dei militari nell’operazione. Le Idf conclusero la vicenda con una reprimenda disciplinare per Gofman e i suoi subordinati. Dopo l’annuncio della nomina, Elmakayes ha criticato la scelta sostenendo di essere stato «abbandonato» e di aver pagato «con oltre un anno e mezzo di interrogatori e detenzione» un’operazione avviata sotto il comando di Gofman. «Se ha abbandonato me, cosa gli impedirà di abbandonare gli agenti del Mossad?», ha accusato Elmakayes.

Il 7 ottobre
L’attacco di Hamas ha segnato uno snodo chiave nella carriera di Gofman. Dopo la riabilitazione, il militare è stato nominato capo di stato maggiore del Coordinatore delle Attività Governative nei Territori (Cogat) e, nell’aprile 2024, segretario militare del primo ministro. In questo ruolo ha accompagnato Netanyahu in importanti missioni politico-strategiche e ha partecipato alla gestione della guerra, contribuendo – secondo l’ufficio del premier – al coordinamento dei diversi fronti del conflitto.
La sua candidatura a guidare il Mossad è stata accolta positivamente nella coalizione di governo. Il ministro della Difesa Israel Katz ha parlato di «un comandante con un’esperienza operativa e di intelligence tra le più alte delle Idf». Il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, lo ha definito «un eroe di Israele». Per il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, Gofman è stato tra i pochi comandanti che, prima del 7 ottobre, «misero ripetutamente in guardia dai rischi della concezione dominante», l’idea che Hamas fosse ormai dissuaso dall’aprire un conflitto su larga scala.

Gli interrogativi degli analisti
Roy Sharon, analista dell’emittente Kan, descrive Gofman come un ufficiale dal pensiero originale e capace di sfidare il sistema, ma richiama anche il suo coinvolgimento nell’operazione Elmakayes e quella che definisce «una tendenza a non lasciarsi frenare dai limiti imposti». Secondo Sharon, la sua nomina apre due interrogativi centrali: il primo riguarda la decisione di Netanyahu di puntare su un candidato esterno al Mossad, scavalcando dirigenti con lunga esperienza interna e lasciando intendere che il premier possa aver individuato criticità o mancanze nell’istituzione. Il secondo riguarda il metodo: «Il criterio principale nelle nomine di alto livello è ancora una volta la lealtà personale al primo ministro?», si chiede Sharon.
Il numero uno uscente del Mossad, David Barnea, ha avuto una conversazione con Gofman e si è congratulato per la nomina, augurandogli «successo nella guida dell’organizzazione in un momento così delicato per la sicurezza di Israele». Barnea, che concluderà il suo mandato quinquennale nel giugno 2026, passerà allora il testimone a Gofman, se confermato.