ISRAELE – Il generale Alon: «Possiamo riportare a casa la salma di Ran Gvili»
L’agente di polizia Ran Gvili, assassinato il 7 ottobre 2023 mentre combatteva contro i terroristi palestinesi, è l’ultima salma ancora dispersa a Gaza. «Hamas non sa dove si trova, ha difficoltà oggettive a rintracciarla, ma riteniamo possibile riportarla indietro», spiega il generale in pensione Nitzan Alon a Nahum Barnea in una lunga intervista pubblicata sull’approfondimento per lo Shabbat di Yedioth Ahronoth.
Negli ultimi due anni Alon ha guidato per le Idf la Mishlat HaShevuyim VeHaNe’edarim, il comando speciale creato nella notte tra il 7 e l’8 ottobre per localizzare dispersi e ostaggi e coordinare i negoziati internazionali. «La macchina israeliana non era pronta alla questione degli ostaggi», sottolinea il generale, ricordando le prime settimane dopo i massacri e i rapimenti di Hamas. Per questo lo stesso Alon ha assunto in autonomia l’iniziativa: «Nessuno mi ha nominato. Ho chiesto ai vertici militari dove potessi essere utile e in poche ore abbiamo costruito un comando da zero». Il lavoro è iniziato con 3.146 dispersi, un numero poi ridotto progressivamente fino a distinguere tra morti, sopravvissuti nascosti e i 251 rapiti portati a Gaza.
L’apparato messo in piedi da Alon ha integrato intelligence “blu”, raccolta in Israele, e intelligence “rossa”, raccolta nella Striscia. Le informazioni erano spesso terribili. «Abbiamo visto immagini che nessuno dovrebbe vedere», ammette. Nei primi giorni dell’offensiva terrestre si sono commessi errori: «Molti ostaggi a Gaza sono stati uccisi» o sono morti in quel periodo, spiega il generale, ricordando che i rapitori «li spostavano continuamente, il quadro cambiava di ora in ora». In alcuni casi è stata l’Idf, inconsapevolmente, a colpire edifici con ostaggi all’interno: «Non sapevamo che ci fossero. Ogni errore era una tragedia».
Il comando, continua Alon, pretendeva trasparenza assoluta con le famiglie: «A parte le informazioni che potevano mettere in pericolo altri ostaggi, abbiamo detto tutto. Anche quando sbagliavamo, e purtroppo è successo». Anche con i mediatori la linea era netta: «Dovevamo parlare con chi ha influenza su Hamas: Qatar ed Egitto. Il resto era rumore».
Su rapporti con il governo israeliano Alon spiega: «All’inizio era assorbito da altre questioni. Io e il capo del Mossad avevamo quasi mano libera. Poi, al contrario, i membri del gabinetto hanno iniziato a intervenire in ogni minimo dettaglio». Allo stesso tempo, secondo il generale, le grandi manifestazioni pubbliche non hanno avuto il peso che viene attribuito loro: «La loro influenza sui negoziati è stata molto meno drammatica di quanto si dica». Ma, aggiunge, sono state «importanti per la coesione della società israeliana, per le famiglie e, in alcuni casi, per il morale degli ostaggi».
Sulle trattative Alon parla di un processo accidentato, segnato da pressioni interne e rigidità di Hamas. «Sinwar manteneva solo ciò che sapeva di poter mantenere», racconta. «Non ha mai considerato gli ostaggi un peso, come gli suggerivano i qatarioti». Ogni fase di stallo significava prolungare l’inferno dei rapiti: «Sapevamo che ogni ritardo significava un altro giorno per loro nelle gallerie, nella fame, nelle botte».
Molti gli consigliarono di abbandonare l’incarico. «Mi sono chiesto cosa avrebbe aiutato di più gli ostaggi: andarmene o restare. Se me ne fossi andato, me ne sarei pentito».
Barnea chiede ad Alon un commento sul progetto americano per una “nuova Gaza”, una ricostruzione graduale senza campi profughi e senza Hamas. «Bisogna essere molto ottimisti per credere che accadrà», osserva. «Non esiste una macchina che prenda un abitante di Gaza da un lato e ne esca un cittadino danese dall’altro», commenta, mettendo in guardia contro l’illusione che denaro e ingegneria politica possano trasformare la situazione su tereno. «La terra appartiene a qualcuno: non puoi dire a un uomo di Beit Lahiya che da oggi vive a Rafah».
E: «Centinaia di migliaia di bambini cresciuti tra le macerie non sono la ricetta per la deradicalizzazione. Hamas non intende rinunciare al suo potere».
Il rischio, conclude Alon, è evidente: «Se Hamas resterà al comando, non avremo raggiunto nessuna delle mete dichiarate della guerra. Se cadrà, allora si potrà discutere se il prezzo pagato sia stato giustificato».