ROMA – Sigmund Freud tra psicoanalisi e identità
Era dedicato a Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, il sesto incontro del ciclo “Innovatori nella cultura ebraica” organizzato dal Centro Ebraico Il Pitigliani di Roma in collaborazione con la casa editrice Giuntina e la libreria ebraica Kiryat Sefer. A parlarne gli psicoanalisti David Meghnagi e Alberto Sonnino e la giornalista Francesca Nocerino, moderati da Alberto Caviglia. Nel corso dell’iniziativa, patrocinata da Ucei e Comunità ebraica romana, Meghnagi per primo si è soffermato sulla teoria di Freud, «una teoria basata sull’immaginazione al potere» e in quanto tale da considerare «arte e non solo scienza, oppure scienza in quanto arte». Per Meghnagi, una delle prove della grandezza di Freud è l’aver immaginato il funzionamento del cervello «senza poterlo vedere». Sonnino ha poi toccato il tema dell’ebraismo in Freud, «che si considerava profondamente laico e al tempo stesso ha vissuto con passione e coinvolgimento la sua identità ebraica». In quest’ottica Sonnino ha invitato alla lettura del saggio Il Mosè di Freud. Giudaismo terminabile e interminabile di Yosef Hayim Yerushalmi, pubblicato in Italia da Giuntina, il cui sottotitolo è una chiave di «trasmissione dell’identità ebraica anche laddove si dovessero rifiutare i canoni fondamentali della religione: Freud si ritrova pienamente in quella condizione». Nocerino si è addentrata nel rapporto tra psicoanalisi e cinema, ricordando come in entrambi i casi la pietra miliare sia l’anno 1895. Mentre Freud pubblicava a Vienna i suoi studi sull’isteria, a Parigi i fratelli Lumière proiettavano “La sortie des ouvriers de l’usine”. «Psicoanalisi e cinema hanno lo stesso obiettivo: indagare l’animo umano», ha affermato Nocerino. «Freud i sogni li indagava, mentre il cinema li ha inventati».