DIALOGO – Paola Cavallari: Mai dimenticare la violenza sulle donne

L’ultimo incontro dei Colloqui ebraico-cristiani, svoltosi al Monastero di Camaldoli dal 4 all’8 dicembre scorsi, si è tenuto in un ambiente intriso di familiarità: anche per chi – come me – mancava da parecchi anni, era come se non ne avesse perso nemmeno uno. C’erano donne che, tra un appuntamento e l’altro del programma, sferruzzavano o lavoravano all’uncinetto. Un’atmosfera che, per certi versi, mi ha riportata ad antichi incontri femministi degli anni Settanta.
Il Colloquio di quest’anno, il 45esimo, ha posto al centro il documento Nostra aetate, a sessant’anni dalla promulgazione, e le prospettive del dialogo ebraico-cristiano verso il futuro. Ricchissima la partecipazione di cristiane e cristiani, ebree ed ebrei: sale gremite, gruppi ovunque, mensa affollata. Certo era una sfida mettere cristiani/e ed ebrei/e gomito a gomito per quattro giornate. Ma valeva la pena affrontarla e chi ha voluto farsene carico non solo ha respirato a pieni polmoni l’aria che emanava il vicino bosco e la sala degli appuntamenti, ma si è congedato dalla comitiva con il fiorire dell’ebbrezza nell’animo. 
L’ intervento al Colloquio di chi scrive è avvenuto a ridosso della relazione della presidente Ucei Noemi di Segni, che aveva richiamato la ferita immensa del 7 ottobre e sottolineato l’importanza di due concetti: coerenza e concretezza. Sull’onda di tali parole, avevo espresso un’accorata riflessione: quel 7 ottobre è stato davvero un giorno straziante. Il cono d’ombra specifico su cui mi soffermavo era il modo con cui il femminismo italiano (ma non solo) aveva per lo più reagito a quell’evento drammatico di stupri e femminicidi. Quelle donne ebree israeliane erano state brutalizzate, infilzate, sgozzate, sventrate e fatte a pezzi; e alcune deportate. E lo erano state proprio in quanto donne ebree. Erano pacifiste, ma erano donne del nemico. Due categorie entrambe invise, da sottomettere o eliminare, e che in questo scenario si incarnavano fondendosi in un unico soggetto, che assomma in sé il vertice dei pregiudizi più radicati nella Storia, con corrispondenze sorprendenti.
Il crimine perpetrato da un progetto misogino e mortifero di maschi su quei corpi avrebbe dovuto essere assunto dalla coscienza critica del movimento femminista – nell’eredità della lezione del Me too – e rivendicato responsabilmente, sul piano politico. Ma questo è accaduto solo in minima parte, quasi senza lasciare traccia. Le voci che si sono sollevate in solidarietà con le donne ebree violate sono state osteggiate, vilipese, censurate, appannate e hanno incontrato solo una risibile risonanza. Alcune donne dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne appartengono a questo piccolo gruppo che ha affermato lo scempio con coerenza e coraggio, ma è stato schiacciato dalla marea egemone, con punte che arrivavano sino a negare il crimine del 7 ottobre. Di questo atto, un vero e proprio “abdicare” alla propria vocazione, chi scrive non sa darsi ragione, o meglio le ragioni le conosce bene, purtroppo, ma lo sgomento per tale deviazione politica è una ferita profonda: il femminismo ha nel suo dna il contrasto a un mondo popolato dalle discriminazioni, nessuna esclusa, ma in primis quelle riguardanti le donne, in quella costellazione di abusi e sopraffazioni che sono state rese invisibili dall’imbroglio del neutro. Cosa è successo? Questi episodi vanno ripensati con lucidità, coraggio, e attitudine all’ascolto.

Paola Cavallari
Ex presidente dell’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne