A TAVOLA – Storia di un ingegnere e di un forno druso

Il tabun, forno a cupola in pietra, è il cuore della cucina drusa. Da lì nasce Taboonia, il progetto di Raif Rashed, ingegnere di Isfiya, villaggio druso sul monte Carmelo, che a New York ha provato a ricostruirsi una vita e una comunità dopo l’orrore del 7 ottobre 2023.
Raif, sopravvissuto al massacro del festival Supernova – dove ha perso due cari amici: Erick Peretz e sua figlia Ruth, assassinati dai terroristi – ha lasciato la carriera di ingegnere per rifugiarsi nella cucina. «Non riuscivo più a lavorare come prima. Solo cucinare i piatti di mia madre mi dava conforto», racconta a Pagine Ebraiche. Majadara, foglie di vite, manakish con za’atar, il pane druso sottilissimo: ricette semplici, ma cariche di memoria.
Il 7 ottobre avrebbe dovuto prendere un aereo per tornare negli Usa, ma decise all’ultimo di restare un giorno in più per aiutare il fratello al festival Supernova, dove Taboonia forniva il catering. «Non potevo lasciarlo solo. L’ho fatto d’istinto. Oggi penso che Dio mi abbia trattenuto». All’alba il cielo si era riempito di missili. Nel caos, Raif si imbatte nell’amico Erick Peretz, con la figlia Ruth in sedia a rotelle. «Abbiamo trovato rifugio e bevuto un caffè. Poco dopo hanno iniziato a sparare. Erick ha portato Ruth verso un’ambulanza, pensando fosse sicura. I terroristi hanno dato fuoco al veicolo. Sono morti lì dentro insieme a 16 ragazzi».
Raif era nella foresta con decine di giovani, inseguiti dalle raffiche di mitra. «Ho corso per ore, sotto i proiettili. Non sapevamo dove fosse l’esercito. Ho visto morire amici, ho perso più di venti persone care». Solo dopo dieci ore sono arrivati i soccorsi. «Mi sono senza protezione. In Israele, il paese che pensavo il più sicuro». Rimasto senza passaporto e senza mezzi – tutto andato perso al festival – è rimasto tre mesi prima di rientrare negli Usa per far rinascere Taboonia nato 15 anni prima in Israele come catering familiare. «Cucinare era l’unico modo per respirare », spiega. Nel 2024 ha riaperto un banco al Grand Bazaar dell’Upper West Side e al New Meadowlands Market nel New Jersey, con grande successo. Dopo l’incontro con un socio druso-americano, Raifi ha aperto un piccolo ristorante sulla Sixth Avenue, a Midtown. Solo dodici coperti, ma una grande ambizione. «L’80% dei nostri clienti erano israeliani ed ebrei: abbiamo chiesto e ottenutola certificazione casher», racconta. Una decisione anche identitaria. «Parlo ebraico meglio dell’inglese e con i miei clienti ebrei sono ‘in famiglia’ ». Ma Manhattan non perdona. Con affitti da 15-20 mila dollari al mese, un ristorante piccolo non ha retto. «Avevo tra 50 e i 70 clienti al giorno, ma per sopravvivere me ne servivano almeno 300. Impossibile resistere». Taboonia ha chiuso pochi mesi dopo ma il progetto non si è fermato. «Taboonia non è mai stato solo un ristorante. È nato come un tabun mobile, che si sposta di festa in festa».
Oggi i piatti di Raif sono serviti nell’Upper West Side e nel New Jersey; il prossimo passo sarà un food truck che giri tra Baltimora e New York. «Così non devo più pagare affitti insostenibili. Posso tornare a quello che sappiamo fare: cucinare davanti alla gente, creare legami».
Nei suoi stand, tra il profumo di za’atar, la fragranza della pita e la dolcezza della halva, si mescolano arabo, ebraico e inglese. Uno spazio di convivenza che ha resistito anche al clima minaccioso delle piazze pro palestinesi.
«Non ho mai avuto problemi seri con i manifestanti. Parlo con tutti nella loro lingua. Una volta è entrato uno che si è presentato come palestinese. Gli ho detto: “Io vengo da Israele, sono druso”. Gli ho offerto qualcosa da mangiare: alla fine ha comprato labneh ed è andato via, senza rabbia o scontri». Molti clienti, soprattutto ebrei newyorkesi, gli confidano di sentirsi a casa grazie a lui. «Con te qui, mi dicono, New York sembra un posto più sicuro per gli ebrei. È la cosa più bella che potessi sentire», sorride Raif. Ex soldato di Tsahal, negli ultimi due anni ha partecipato a manifestazioni a Times Square con le bandiera israeliana e drusa, per ricordare le vittime del 7 ottobre. Poi sono arrivati i massacri contro la comunità drusa nel sud della Siria. «Un dolore indescrivibile. Mio nonno è arrivato dalla Siria in Israele prima della nascita dello stato. In Siria ho ancora dei parenti e le violenze sono state un duro colpo».
Raif ha iniziato a raccontare ai newyorkesi cosa significa essere drusi. «Con Taboonia porto avanti anche una missione culturale: far conoscere i drusi. Siamo poco più di un milione in tutto il mondo, spesso invisibili. Il cibo è il mio linguaggio per raccontarci». Tra i piatti più popolari cita «il pane allo za’atar. Prendo l’impasto di pane, lo stendo sottile e ci spalmo sopra za’atar e olio d’oliva, a volte anche un po’ di formaggio. Lo cuocio in forno molto caldo per pochi minuti, finché i bordi diventano dorati. E lo servo con la muhammara, una salsa di peperoni arrostiti, noci e melassa di melograno. La gente la adora, ed è il sapore di casa mia».

d.r.