CULTURA – Yehuda Amichai, la pace e il papa americano
I versi del poeta israeliano Yehuda Amichai sono risuonati dalla Loggia delle Benedizioni della Basilica di San Pietro nella preghiera Urbi et Orbi del 25 dicembre. Un fatto inusuale, e per molti inatteso: papa Leone XIV ha scelto alcuni versi da Una pace selvatica per parlare del conflitto in Medio Oriente. «Non è una delle poesie più note di Amichai. Ma è una delle più necessarie. Amichai non crede alla pace come miracolo, ma come sfinimento morale. La vera pace non nasce dall’innocenza, ma dalla consapevolezza di saper fare il male. È un messaggio radicalmente biblico. Ed è estremamente pericoloso per ogni propaganda», commenta Sara Ferrari, docente di ebraico all’Università Statale di Milano e studiosa del poeta.
Una citazione che arriva da una poesia oggi difficile da reperire anche nell’originale in ebraico. «Fa parte di una raccolta pubblicata alla fine degli anni Settanta, poi esauritasi rapidamente. Online si trovano quasi tutti i testi di Amichai, tranne questo. Con Maya Katzir, attaché culturale dell’ambasciata israeliana in Italia, stavamo cercando l’originale per proporre una traduzione e non è stato semplice», racconta Ferrari. L’incontro del papa con la poesia potrebbe derivare da un’antologia americana: negli Stati Uniti, spiega la traduttrice, i versi del poeta israeliano hanno grande risonanza. «Non è un caso che il papa sia cittadino americano», sottolinea Ferrari.
«Una pace selvatica rappresenta bene la fase matura di Amichai, quella successiva al ’67», prosegue la traduttrice. «In quegli anni faceva spesso riferimento all’immaginario profetico – il lupo e l’agnello, il tempo messianico presenti nella poesia – ma lo rovescia. Non la pace come cessate il fuoco né come visione escatologica, bensì come ciò che resta dopo l’emozione, quando nel cuore si placa la tensione e rimane solo una grande stanchezza», spiega Ferrari. «Amichai è riconosciuto come poeta della pace, soprattutto negli Stati Uniti dove è tradotto e letto moltissimo. Se si dovesse scegliere una voce poetica israeliana per parlare al mondo in un momento come questo, il suo nome sarebbe tra i primi».
La citazione pontificia arriva una settimana dopo Il cuore si fa audace, incontro dedicato proprio ad Amichai nella sinagoga centrale di via Guastalla per il centenario della nascita del poeta. Una serata in cui Ferrari, la traduttrice Raffaella Scardi e la poetessa israeliana Sarai Shavit hanno dato voce ad alcune poesie di Amichai. «È un poeta che cresce con chi lo legge», ha ricordato Scardi, «le sue parole cambiano con noi».
d.r.
Di seguito la traduzione – «rapida, imperfetta, ma fedele allo spirito» – di Sara Ferrari di Una pace selvatica
Non quella di un armistizio,
né quella della visione del lupo con l’agnello,
ma
come nel cuore dopo l’emozione:
parlare solo di una grande stanchezza.
So di saper uccidere,
perciò sono adulto.
E mio figlio gioca con un fucile giocattolo che sa
aprire e chiudere gli occhi e dire: Mamma.
Una pace senza il frastuono di spade ridotte a vomeri,
senza parole,
senza il suono di sigilli pesanti;
che sia leggera lassù, come schiuma bianca e pigra.
Riposo per le ferite.
Breve, persino.
(E il grido degli orfani si trasmette di generazione in generazione,
come in una staffetta:
un testimone che non cade.)
Che sia come fiori selvatici,
all’improvviso nell’urgenza del campo.
Una pace selvatica.