ISRAELE – La radio dell’esercito verso la chiusura: «Una palestra di giornalismo»
Il governo israeliano ha deciso: Galei Tzahal, la radio dell’esercito, sarà chiusa. Il ministro della Difesa Israel Katz, promotore del provvedimento, sostiene che l’emittente «non è utile, trasmette contenuti politici e divisivi, e rischia di demoralizzare i soldati». Una decisione che ha generato proteste, ricorsi annunciati e un dibattito acceso sul ruolo dell’informazione nel paese. Ma cosa rappresenta Galatz per Israele? Per capirlo, si può ascoltare chi quella radio l’ha conosciuta dall’interno e chi l’ha ascoltata per una vita.
La nascita della radio
«Galei Tzahal è stata fondata nel 1950, appena due anni dopo la nascita dello Stato», racconta Inbal Elbaz, oggi avvocata, dal 2016 al 2019 soldatessa e producer nella redazione. «All’inizio era pensata per scopi militari: trasmettere informazioni utili all’esercito e far conoscere il mondo militare. In caso di necessità si prevedeva potesse convocare soldati. Accanto a questo c’era una finalità educativa: diffondere storia e cultura di Eretz Israel, in un paese appena nato, con l’esercito al centro della società». Col tempo, Galatz si è trasformata. «Oggi trasmette notizie, attualità, cultura, musica. Ha contribuito allo sviluppo della cultura israeliana moderna e mantiene un carattere unico: in studio arrivano intere unità dell’esercito, soldati che salutano le famiglie in diretta, giornalisti che aggiornano ogni ora sul paese». A questa si è affiancata Galgalatz, la versione musicale: «È la stazione più ascoltata in Israele, amata da tutte le età».
La sua caratteristica è la doppia anima, militare e civile, dove soldati e professionisti lavorano insieme. «È un’unità piccola, circa duecento persone. Metà sono soldati di leva, l’altra metà tra ragazzi con esenzione medica che scelgono di servire lì e professionisti civili. Entrare è difficile: devi avere una perfetta padronanza della lingua e saper parlare in pubblico. Ai nuovi arrivati si insegna a condurre programmi, montare servizi, scrivere notiziari. È un’esperienza che ti forma, ti apre al mondo. Per chi sogna il giornalismo è una palestra unica».
Almeno un terzo dei giornalisti più influenti del paese «è passato da qui», sostiene Inbal. Da Galatz sono usciti Ilana Dayan, Amit Segal, Itai Anghel e molti altri. «A 19 anni, io chiamavo politici, artisti, famiglie in lutto colpite da attentati. È un impatto emotivo enorme e una grande responsabilità, ma ti dà strumenti che rimangono per tutta la vita».
Una voce del pluralismo israeliano
«Galei Tzahal è una delle stazioni radio più ascoltate in Israele», sottolinea Sergio Della Pergola, demografo, docente emerito dell’Università Ebraica e voce ascoltata degli Italkim, gli italiani d’Israele. «Per ragioni generazionali seguo Reshet Bet, la radio dell’emittente pubblica, ma Galatz la ascolto spesso: più vivace, più informale, più immediata. Un punto di riferimento». Per lui la chiusura è «una scelta politica sbagliata: danneggia pluralismo e libertà dell’informazione». La forza della radio, spiega, è la sua indipendenza: «Pur essendo militare, è imparziale e oggettiva. Ospita voci diverse, anche critiche verso governo ed esercito. Non è un megafono: è questo che le ha dato forza nel tempo». Galatz ha promosso anche cultura e musica. «Ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della musica israeliana contemporanea, promuovendo generi nuovi, sonorità sefardite e mizrachi». La componente militare però resta presente. «Ogni sera c’è una mezz’ora dedicata a strategia e analisi militare, con ufficiali in studio. È utile per capire cosa fa l’esercito». Poi ci sono rubriche su società, economia, politica. «Sono stato intervistato anch’io: tre minuti per spiegare cosa significa diaspora o demografia».
Per Della Pergola l’immagine di Galei Tzahal «è un soldato di di guardia di notte: dalle due alle sei del mattino, in una garitta, con l’auricolare nell’orecchio mentre guarda nel buio per capire se c’è qualcuno. L’ho fatto anch’io per tanti anni. E intanto ascolti la radio dell’esercito per tenerti compagnia e collegato con il mondo».
Ascoltarla dall’Italia
Anche Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Cdec di Milano, è un affezionato ascoltatore di Galei Tzahal. «Era la radio del kibbutz: una compagnia costante, una colonna sonora. Quando ero in Israele negli anni Ottanta era sempre accesa». E una volta rientrato in Italia? «Era l’unica radio israeliana captabile: con le onde corte la sentivi persino da qui». Con internet l’accesso è diventato più diretto: ««La considero la radio più concreta e più aperta al dialogo. Ilana Dayan è una delle mie giornaliste preferite: non è ideologica, ascolta tutte le campane, ma lo fa in modo critico. Lascia parlare l’interlocutore e allo stesso tempo mette in luce eventuali contraddizioni. Un grande esempio di giornalismo». Un ricordo emblematico per Luzzatto Voghera arriva dalla guerra di Gaza del 2014: «Intervistavano anche palestinesi da dentro Gaza, in diretta. Li chiamavano al telefono e raccontavano la situazione. Facevano una cronaca davvero libera, esemplare».
Il dibattito sulla chiusura
La chiusura arriva al termine di un confronto che in Israele va avanti da anni, ricorda Inbal. «C’è chi dice che non debba esistere una radio dell’esercito; chi teme un’influenza del Ministero della Difesa sulla copertura; e chi critica il finanziamento pubblico, anche se limitato. C’è poi chi sostiene che Galatz non rispetti più la sua missione di parlare soprattutto ai soldati e che sia troppo critica verso l’esercito». Ora il dibattito si è trasformato in atto politico. «Il governo ha fissato la chiusura al 1° marzo. Alcuni giornalisti hanno già ricevuto comunicazione della fine del contratto. Molti contestano il processo, dicendo che la commissione incaricata non abbia valutato correttamente il lavoro svolto».
Un aspetto però, nota Inbal, è passato in secondo piano: «Diversi ostaggi liberati hanno raccontato di aver ascoltato Galatz in prigionia. Sentivano le voci delle famiglie, le richieste di riportarli a casa. Li incoraggiava». E nei due anni di guerra, la radio è stata importante, conclude Inbal. «Oggi i giovani l’ascoltano meno, ma chi era a Gaza, in Libano o in Siria non aveva rete né tv ed è tornato alla radio. Per loro è stata un ponte con casa. Non dimentichiamo che siamo un paese in cui quasi tutti sono o sono stati soldati».
Daniel Reichel
(Foto ministero della Difesa israeliano)