LIBRI – Il sionismo: la storia di un sogno, per fare chiarezza
Tutti ne parlano male, spesso malissimo. In pochi sanno cos’è. Parliamo del sionismo, il movimento politico per l’autodeterminazione del popolo ebraico. Dal 7 ottobre 2023, per gran parte dei media e del mondo accademico (occidentale ma non solo), sionismo è sinonimo di sopruso e colonialismo ma la notizia è che non si tratta di una notizia. Era il 10 novembre del 1975 quando una famigerata risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni (poi revocata all’unanimità nel 2011) definì il sionismo «una forma di razzismo e di discriminazione razziale». A sgomberare il campo da tanta paccottiglia ideologica interviene il testo Se lo vorrete non sarà un sogno – Storia del Sionismo di Luciano Assin, che, nella
prefazione scrive: «Non si tratta di un saggio storico per addetti ai lavori ma piuttosto di un primo approccio al tema in questione». Dall’etimologia del termine, alle correnti del movimento, dai protagonisti (uomini e donne) del sionismo, alla storia delle aliyot, passando per due Guerre Mondiali e il nazionalismo palestinese, in meno di 300 pagine Assin illustra con chiarezza la storia di un movimento di grande successo se si considera che il primo Congresso Sionista Mondiale risale al 1897 e la fondazione dello Stato d’Israele avviene nel 1948.
Luciano Assin è nato a Milano nel 1957 e dopo la maturità si è trasferito a Sasa, un kibbutz al confine col Libano. In Israele Assin ottiene prima una laurea breve in Sociologia e Risorse Umane e quindi una laurea magistrale in Storia del popolo ebraico. Nel corso degli anni è stato allevatore di bestiame, educatore, e responsabile delle risorse umane in una delle fabbriche del kibbutz. Oggi è guida turistica. Sposato, padre di tre figli e nonno di sei nipoti, dal 2013 Assin cura il proprio blog, L’altra Israele, dove ha pubblicato più di 300 articoli sugli aspetti meno conosciuti del paese.
Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo di seguito un estratto dell’ultimo capitolo di Se lo vorrete non sarà un sogno. Il libro è acquistabile su amazon.it.
«All’indomani del 29 novembre 1947, iniziò una guerra civile fra l’Yishuv e gli arabi palestinesi, che non coinvolse direttamente gli inglesi, comunque impegnati a mantenere un minimo di sicurezza nel paese. Dopo la dichiarazione congiunta della Lega Araba dell’8 dicembre 1947, nella quale si dichiarava che alla fine del Man dato gli eserciti regolari di Egitto, Giordania, Siria e Iraq avrebbero invaso la Palestina, gli Stati Uniti fecero marcia indietro, e, nel febbraio del 1948, proposero, in alternativa al Piano della Partizione, di istituire un protettorato internazionale fino alla formulazione di una nuova proposta, nel frattempo sarebbe stata dichiarata una tregua di tre mesi. Negli stessi giorni, come stabili to dalla Partizione, l’Agenzia ebraica aveva già formato sia un parlamento che un governo provvisorio. Ancora prima della conclusione del Mandato, e più precisamente il 4 maggio del 1948, l’esercito regolare giordano aveva cominciato ad attaccare “Gush Etzion”, una serie di insediamenti ebraici, situati a sud di Gerusalemme. In questa situazione caotica e prossima al col lasso la proposta americana aveva cominciato ad avere un certo seguito anche all’interno della Sochnut. L’11 maggio fece ritorno in Israele Moshe Sharett, ministro provvisorio degli Affari Esteri. Sharett aveva appena finito un’estenuante visita negli USA dove, dopo il ri fiuto del presidente Truman di vederlo, si era alla fine incontrato col Segretario di Stato, George Marshall, che lo accolse freddamente, se non addirittura con aperta ostilità. A suo dire l’Haganah non era più che una “milizia armata” e nel caso di un confronto con degli eserciti regolari non avrebbe avuto nessuna possibilità di vittoria. Gli Stati Uniti, continuò Marshall, erano decisamente contrari ad un nuovo conflitto regionale che, non solo avrebbe trascinato la regione nel caos più totale, ma avrebbe potuto trasformarsi in un nuovo conflitto mondiale. Appena atterrato in Israele, Sharett, dopo un volo durato 30 ore, riferì immediatamente a Ben Gurion i nuovi sviluppi, aggiungendo che a suo parere Israele non aveva altra scelta che accettare il diktat americano. Il leader sionista chiese al suo collaboratore di evitare di esprimere il suo parere quando, il giorno dopo, avrebbe dovuto esporre al governo provvisorio i risultati della sua missione. La convinzione di Ben Gurion era che il fronte arabo fosse diviso e disorganizzato, e sottovalutasse l’avversario sionista. Il giorno dopo, il 12 maggio 1948, il futuro premier israeliano iniziò la giornata secondo la sua normale routine: insieme alla lettura dei quotidiani ebraici consumò la prima colazione con il tradizionale Kumchuk, una ricetta inventata dalla moglie Pola a base di formaggio bianco fresco, yogurt e sciroppo di lampone. Mentre era ancora intento a digerire l’intruglio propinatogli dalla moglie, Ben Gurion ricevette un telegramma inviatogli dal Governatore britannico che confermava che il ritiro inglese dalla Palestina sarebbe avvenuto nella notte fra il 14 e il 15 maggio. L’Agenzia ebraica aveva dunque a disposizione quarantotto ore per decidere se dichiarare o meno la nascita dello Stato ebraico. Durante la riunione del governo provvisorio Golda Meir annunciò che i due incontri con il re giordano Abdallah avevano avuto esiti negativi e il sovrano hashemita sarebbe entrato in guerra assieme al resto dei paesi arabi. Sharett, ligio alla promessa fatta a Ben Gurion, non solo non espresse il suo parere, ma avanzò l’ipotesi che gli americani ormai erano contrari alla creazione di una nazione ebraica. L’intervento successivo fu di Ygael Yadin, Capo di Stato Maggiore del nascente IDF, che calcolò al 50% le probabilità di vittoria nel caso di una guerra contro gli eserciti arabi. Ben Gurion, che, a parte il breve periodo di guardiano a Sejera negli anni venti, non aveva nessuna esperienza nel campo militare, aveva però una chiara visione della situazione che gli permetteva di vedere oltre l’orizzonte. Non importa quanto la nostra situazione sia critica, affermò, lo sarà molto di più senza la creazione di un nostro stato. Solo dopo aver dichiarato l’indipendenza, disse, saremo in grado di legiferare disposizioni all’arruolamento obbligatorio e all’alyà, rendendola così legale, annullando le limitazioni inglesi. Potremo dichiarare lo stato d’emergenza e imporre una politica precisa che ci aiuti a vincere la guerra. E rivolgendosi ai ministri sottolineò: “Duemila anni di storia ebraica aspettano una vostra decisione, non possiamo aspettare oltre”. Il discorso, e le pressioni esercitate su ognuno dei partecipanti, ottennero il loro effetto e il governo provvisorio decise con sei voti contro quattro di respingere la proposta americana». (continua)
(Nell’immagine, David Ben Gurion firma la dichiarazione d’Indipendenza d’Israele – 14 maggio 1948)