Martino Godelli (1922-2014)
Un nodo mi stringe la gola mentre scrivo queste righe su Martino Godelli: Ocsi, "fratellino", il diminutivo ungherese usato da tutti noi di famiglia e dagli amici stretti, quelli di Fiume.
Con lui la generazione dei quattro figli di Ignatz Goldstein, nati in Transilvania e portati dal destino in Italia, diventati Godelli dal cognome della loro mamma Clara Godel, segnati dalle persecuzioni, sopravvissuti, e migrati tre su quattro in Israele, ha chiuso la sua partita terrena. Ultimo tra i quattro fratelli per età, ultimo a lasciarci. Ora siamo noi, i nove cugini Godelli, gli anziani della famiglia. Promossi sul campo da una scomparsa che in fondo ci aspettavamo, ma a cui mai abbiamo voluto pensare.
Devo dirlo: chi più chi meno, lui ci ha forgiati. Non per far torto ai nostri genitori, ma per tutti noi il riferimento era sempre Martino. Durante le nostre inquiete adolescenze, nelle nostre prime esplorazioni di Israele, nel rapporto con il sionismo, nel romanzo della nostra formazione, lui c'era sempre: anche per me, unica assieme a mia sorella a essere alfine rimasta in Italia, ma intrisa di Israele perchè intrisa di lui. Con il suo sorriso franco e diretto, con gli occhi che brillavano di vita e di passione, con il kibbutz nel cuore, con le ombre e i ricordi dilanianti del campo messi in sordina, con la sua durezza adamantina, con la sua ironia, con la sua meravigliosa tenerezza, Martino ha camminato a testa alta tra i mille problemi e le mille contraddizioni del kibbutz e del Paese.
Silvia Godelli