Discorso del consigliere Claudia De Benedetti

‘Giorno della Memoria’: discorso del consigliere Claudia De Benedetti alle manifestazioni tenutesi a Casale Monferrato e a Moncalvo

27 gennaio 2005

“Noi ebrei – scriveva Martin Buber nel 1938- siamo una Comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuto uniti e ci ha permesso di sopravvivere.”
Sono particolarmente onorata di porgere il mio saluto in qualità di rappresentante dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
A conclusione di questa giornata mi pare significativo ricordare la testimonianza di Giuliana Tedeschi, una dei 21- su 245 – deportati ebrei torinesi sopravvissuti ai lager nazisti: “siamo tornati, siamo tornati in pochi, anzi in pochissimi; abbiano lasciato laggiù milioni di essere umani, consumati dalle malattie, dagli stenti, dalle violenze; milioni di donne, bambini, vecchi trasformati in fumo. Siamo tornati in un mondo in cui ci siamo subito sentiti estranei, dove non abbiamo trovato ascolto ma sola una desolata solitudine. Allora abbiamo scritto: prima gli uomini, poi a poco a poco le donne che faticosamente uscivano dalla propria riservatezza e dai propri pudori. Abbiamo scritto con le lacrime per un bisogno estremo di sfogo personale e con disperata rabbia per vendicare le offese e le violenze subite. Ma oggi abbiamo la certezza di avere condannato, con la nostra testimonianza, all’esecrazione universale, una intera generazione di feroci, disumani assassini, per i quali non potrà mai esistere perdono.
Le parole sono pietre e pietre auspichiamo che restino i nostri racconti, li lasciamo a Voi perché li trasmettiate agli altri, in una catena che non trovi interruzione, perché i nostri racconti rappresentano anche le voci di chi non è tornato.”
Fatalmente con il passare del tempo anche i ricordi si attenuano e tendono a scomparire. Il 27 gennaio per volontà del Governo Italiano è stata fissata la Giornata della memoria in quella data, nel 1945, si sono per sempre spalancati i cancelli del Lager di Auschwitz e dinanzi agli increduli ed esterrefatti occhi delle truppe alleate è apparsa una folla di cadenti fantasmi umani. Auschwitz e l’annesso Lager di sterminio di Birkenau, con cinque crematori ed un milione e mezzo di vittime, rimarranno quindi il simbolo perenne del più immane delitto del secolo. Dopo Auschwitz – si è detto – il mondo non sarà più come prima – perché Auschwitz ha rappresentato l’indicibile, l’inenarrabile. Giuliana Tedeschi racconta ancora “Birkenau mi ha inghiottita il 10 aprile del 1944 e non sto ora a raccontare la fame, il freddo, la sete, il sonno e le malattie, la fatica estenuante, la brutalità, la violenza: sono questi i tragici aspetti di tutti i Lager che molti di voi certo conoscono già. Voglio solo ora concentrare il mio ricordo sul terrore spasmodico che incuteva il crematorio, perché del crematorio, nemmeno Primo Levi ha potuto narrare per esperienza diretta. Ogni giorno ritornando dal lavoro scrutavamo al di là del filo spinato l’indice del nostro ipotetico futuro ‘come è alta la fiamma oggi!’, pensavamo con terrore, e superato il cancello ci ammorbava il lezzo di carne umana bruciata. Con il buio della notte andare alle latrine significava vedere riflesso sui vetri delle baracche il bagliore del fuoco. Lo sferragliare dei treni sulle rotaie che solcavano l’infinita distesa del campo, l’abbaiare furioso dei cani ed il ringhiare di bestiali voci umani, annunciavano l’arrivo inarrestabile dei convogli dei deportati, ma noi, sconvolte nel sonno, sapevamo che lo scalpiccio dei piedi era diretto verso quel locale, mascherato da doccia, destinato alla gasazione e a quello della successiva cremazione, a pochi metri dalla nostra baracca….
Nemmeno dopo essere tornata il crematorio ha cessato di tormentarmi, mi sono destata per mesi con un sussulto alle tre di notte, con al sopravvenire di un sogno ricorrente, anche se irreale: vedevo mia suocera, deportata con me nel Lager e soppressa nella camera a gas appena giunta a destinazione, scendere da una scala e dirigersi verso un misterioso edificio, gridavo: ‘non entrate non entrare’. Quello, nel sogno, era il crematorio, ma la voce, per il trauma, non mi usciva dalla gola. Voglio concludere con le parole di uno scrittore ebreo, André Schwarz Bart, che, nella scansione ritmica che ricorda i versi biblici dello “Shemà Israel”, della preghiera fondamentale del popolo ebraico, ha voluto ripetere i nomi di quei tremendi luoghi di tortura

E lodato Auschwitz sia. Maidanek L’Eterno Treblinka.
E lodato Buchenwald sia. Mauthausen. L’Eterno Belzec.
E lodato Sobibor sia. Chelmno. L’Eterno Ponary.
E lodato Theresinstadt sia. Varsavia. L’Eterno Vilno.
E lodato Skarzysko sia. Bergen Belsen. L’Eterno Janow.
E lodato Dora sia. Neuengamme. l’Eterno Putskow.
E lodato.
E André Schwarz Bart così conclude “questa storia non finirà su una tomba che un giorno andremo, memori, a visitare. Perché il fumo che è salito dai forni crematori ha obbedito, come ogni altro fumo, alle leggi fisiche: le particelle si sono accumulate e disperse al vento che le ha sospinte. L’unico pellegrinaggio possibile sarebbe contemplare, di tanto in tanto, con malinconia, un cielo di temporale.Talora, è vero, il cuore vorrebbe scoppiare di dolore. Ma spesso anche, e specie di sera, non posso fare a meno di pensare che Erni Levy, morto sei milioni di volte, sia ancora vivo, in qualche posto…Ieri, mentre fremevo disperato in mezzo alla strada, inchiodato al suolo, una goccia di pietà cadde dall’alto sul mio viso; non un alito di vento nell’aria, non una nube in cielo….C’era soltanto una presenza.”