Discorso del consigliere Alessandro Ruben

‘Giorno della Memoria’: discorso del consigliere Alessandro Ruben alla manifestazione tenutasi a Roma presso l’Istituto Superiore di Polizia

27 gennaio 2005

Il Giorno della Memoria è un giorno particolare , diverso dagli altri.

Se vogliamo, non è neppure un giorno, o non è soltanto un giorno; è, invece, un’esperienza, un processo, lungo e tortuoso spesso faticoso e doloroso, certo coinvolgente e complesso.

Chi decide di viverlo e di affrontarlo compie quindi una scelta importante, una scelta significativa e responsabile.

Una scelta dall’intrinseco valore civico e morale.

Per questa ragione è per me un onore, associarmi in rappresentanza dell’Unione delle Comunità Ebraiche e degli ebrei italiani, a questa iniziativa che ha colto al meglio il significato più vero ed impegnativo del ‘Giorno della Memoria’.

Ringrazio pertanto – prima di sottoporvi alcune brevi riflessioni – tutti gli intervenuti, le Autorità civili e militari.

Siamo qui per ricordare una delle pagine più buie e terribili della storia dell’uomo.

Ma il nostro ricordo non avrebbe valore e senso se ci limitassimo alla semplice – se pur toccante – celebrazione.

Nella tradizione ebraica non si usa quasi mai il termine ‘celebrare una ricorrenza’, ma si cerca di trasmettere il ricordo di un avvenimento storico – anche lontano nel tempo – attraverso azioni concrete, attraverso segni esteriori, la cui valenza sia fondamentalmente educativa, piuttosto che meramente celebrativa.

Solo in questo modo possiamo non banalizzare la Storia evitando che si inaridisca, cercando di dare ad ogni generazione che si succede il senso di essere protagonisti di un discorso iniziato dai nostri Padri ma che non si è ancora concluso.

“Noi ebrei – scriveva Martin Buber ben prima della Shoah, nel 1938, – siamo una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere”.

Ricordare semplicemente il passato non ha quindi valore se non siamo in grado di trasformare il presente e di delineare il futuro.

Ricordare la Shoah ha quindi senso solo se ci assumiamo l’incarico di impedire e di evitare che tragedie come quelle non si realizzino mai più.

Lo dobbiamo ai giovani che verranno dopo di noi, ma soprattutto lo dobbiamo alla memoria di chi perse la vita per combattere il totalitarismo, le farneticanti ideologie nazi-fasciste e per salvare vite umane innocenti.

Come testimoni indiretti dell’Olocausto, come figli della Shoah, come generazione che è nata dopo la guerra abbiamo l’obbligo morale di ricordare accanto alle vittime, anche quei Giusti che si adoperarono, a rischio della loro stessa vita, per salvare gli ebrei.

Il pensiero riconoscente non può oggi non andare alla storia del giovane funzionario e commissario Giovanni Palatucci, il cui esempio di uomo libero, di autentico cristiano mosso solo da amore genuino per il prossimo, dopo 60 anni suscita e alimenta in tutti noi ancora stupore e meraviglia.

Un uomo nato come servitore dello Stato che, di fronte alla propria coscienza, non esitò a violare una legislazione infame e persecutoria pur di salvare vite umane.

La vita di Palatucci – come si evince anche dallo splendido libro di padre Vanzan e Mariella Scatena – fu quella di una persona normale che, di fronte alla follia di un mondo che non ebbe rispetto per donne, bambini, anziani, compì gesti di straordinaria umanità – nascondendo, aiutando, favorendo la fuga, sostenendo moralmente e materialmente gli ebrei perseguitati e braccati – in questo mosso solo da puro e disinteressato amore verso i propri simili.

Un Giusto che ebbe il merito di non seguire le folli teorie razziali che volevano giudicare gli uomini in base alla loro religione, alle loro tradizioni, ai loro costumi.

Sembra impossibile ma queste discriminazioni sono ancora presenti in alcuni settori della nostra società che in alcune occasioni si manifestano con l’odio verso gli ebrei attraverso scritte ingiuriose, minacce anonime, cori razzisti.

Per queste ragioni non c’è sede di organizzazione ebraica, sinagoga, centro comunitario, o scuola ebraica italiana che non sia presidiata dalle Forze dell’Ordine che garantiscono sicurezza e tranquillità.

Attraverso il Vostro quotidiano lavoro, ogni giorno si rinnova così l’eredità spirituale di Palatucci.

Di questo Vostro impegno l’intera comunità ebraica italiana vi è grata e riconoscente.

Grazie.