Guida alle regole

Ricordo del sacrificio pasquale
Pesach nella nostra era è solo un ricordo di come questa festa era celebrata quando esisteva il Beth haMiqdash. Allora l’intero popolo d’Israele, a milioni, confluiva in pellegrinaggio a Gerusalemme e tutto ruotava intorno al Pesach, nel senso letterale del termine, il sacrificio pasquale che veniva fatto nel pomeriggio del 14 di Nisan. E’ buona norma nel pomeriggio di oggi ricordare come si svolgeva questa cerimonia, con la preghiera che questa commemorazione valga come se anche noi avessimo effettivamente offerto il Pesach.
La sintesi che segue in italiano deriva dal testo di rav Yaaqov Emdin:
Il Pesach veniva offerto dopo il sacrificio quotidiano pomeridiano che nei giorni feriali e di sabato veniva sacrificato alle ore 7,30 (dividendo per 12 le ore solari diurne). Ogni ebreo, sia uomo che donna, che potesse arrivare a Gerusalemme nel momento del sacrificio, era tenuto a parteciparvi. L’animale era un maschio di un anno, ovino o caprino. Veniva scannato in un luogo qualsiasi del cortile del Tempio, che per quella ora doveva essere completamente svuotato dal chametz. Il sangue della macellazione veniva raccolto in un recipiente da un sacerdote in cima a una catena umana di sacerdoti e passato di mano in mano fino al sacerdote più vicino all’altare, che lo riceveva e l’aspergeva sulla base dell’altare, e il recipiente tornava vuoto passando di mano in mano. I recipienti, con fondo convesso perché non potessero essere posati, facendo coagulare il sangue, potevano essere d’oro o d’argento e le file dei sacerdoti erano di recipienti o tutti d’oro o tutti d’argento.
Dopo si appendeva l’animale a un uncino, gli si toglieva la pelle, gli si apriva la pancia per togliere tutte le parti di grasso da presentare sull’altare, che venivano raccolte in recipienti, salate e portate a bruciare sulla pira dell’altare.
La cerimonia si svolgeva in tre gruppi, e ogni gruppo non poteva essere composto da meno di trenta persone (ma erano molti di più; ogni persona rappresentava tutti gli offerenti che si erano uniti per offrire un singolo animale). Una volta entrato un gruppo, si chiudevano le porte del cortile. Durante la cerimonia i Leviti cantavano l’Hallel e i Sacerdoti suonavano lo shofar, accompagnati dal suono del flauto. L’Hallel con le suonate veniva ripetuto fino alla fine del servizio. Finito un gruppo, si aprivano le porte, i primi uscivano e i secondi entravano, e si ripeteva la cerimonia; ugualmente per la seconda e la terza volta. Alla fine si lavava il cortile chiudendo lo sbocco del corso d’acqua che percorreva il Santuario; il pavimento si allagava d’acqua che lavava tutto, poi si faceva scorrere tutto via riaprendo lo sbocco.
Ognuno usciva con il suo Pesach e andava ad arrostirlo. Lo si faceva con uno spiedo di legno di melograno, conficcato dalla bocca all’estremità opposta, appendendo lo spiedo con il fuoco sotto, con le cosce e le viscere fuori.
Se il 14 cadeva di sabato il pubblico aspettava la sera per uscire e andare a cucinare.
(La consumazione del Pesach avveniva alla fine della cena del Seder, oggi sostituita dall’afikomen). “Ricostruisci la Tua casa con un tempo mettendo nella sua funzione il Miqdash, mostraci la sua ricostruzione e facci gioire per la sua restaurazione”
8 aprile 2009

Qualche regola per il Seder
Il vino. Nel corso del Seder si devono bere quattro bicchieri di vino. Spesso non si è consapevoli che si tratta di un vero e proprio rito che va compiuto con attenzione. Non si esce d’obbligo bevendo un sorso soltanto. Bisogna bere almeno la maggior parte di liquido presente in un bicchiere che deve contenere almeno almeno 86 ml (o cc). Se il bicchiere è più piccolo, non si adempie alla regola, se è molto più grande, si beve troppo vino e si rischia di non sopportarlo. Per misurare la capacità si tenga presente che i comuni bicchieri in plastica usa e getta per le bibite contengono di solito 200 ml (o 0,2 l) e la capacità è stampata nel fondo. Chi fa il qiddush non deve usare bicchieri di plastica. Se non si è in grado di sopportare il vino lo si può diluire con acqua anche fino al rapporto 1:1. Altrimenti si può usare succo d’uva (da dare ai bambini a scopo educativo). In genere è preferibile usare vino rosso, ma anche il bianco o rosato vanno bene se non c’è altro vino o se sono migliori o personalmente preferiti al rosso disponibile. Preferibilmente il vino dovrebbe essere non mevushal ma in caso di necessità c’è chi permette anche il mevushal, che senz’altro è consigliabile per alcuni ospiti.
Maror. Nella tradizione italiana e sefardita si usa la lattuga. Si faccia molta attenzione all’accurata pulizia, foglia per foglia, perché specialmente in questi giorni sono infestate da insetti, che sono evidentemente proibiti. La quantità di lattuga da mangiare deve essere abbondante, non un pezzetto di foglia come molti usano.
Zero’a. Lo “zampetto”, da mettere nel piatto di servizio, deve essere abbrustolito sul fuoco, in ricordo del sacrificio pasquale. Può essere sostitutito da qualsiasi carne arrosto; gli ashkenazim usano un pezzo di pollo (di solito il collo) e non lo consumano la sera stessa. Quando alla fine dell’haggadà si leggono i tre brani esplicativi su Pesach, Matzà e Maror, la matzà e il maror si prendono in mano, lo zampetto no; tutto questo per segnalare che non possiamo fare il sacrificio pasquale ai nostri tempi per assenza del Santuario
Rochtzà. Le mani si lavano due volte, una all’inizio, per il karpas e una prima di mangiare la matzà. Tra il lavaggio delle mani e la benedizione per l’alimento bisogna stare in silenzio. Sono tutti tenuti a lavarsi le mani, donne e uomini e non come talora si fa erroneamente, solo gli uomini. Chi lava le mani agli altri deve prima lavarsele lui stesso.
Luci per la festa: Sulla tavola per il seder o in sua vicinanza, si accendono due lumi, come per lo shabbat, e si recitano la prima e la seconda sera due benedizioni (ner shel yom tov e shehecheyanu). La prima sera le luci vanno accese prima che entri la festa, la seconda sera subito prima del qiddush, da fuoco già acceso.
7 aprile 2009

La vendita del chametz
La Torà ripetutamente (Shemot 12:19, 13:7, Devarim 16:4) proibisce, oltre al consumo di chametz, la sua presenza in casa (“non deve essere visto”, “non deve essere trovato”). Si adempie a questa regola semplicemente eliminando da casa le sostanze lievitate, programmando da tempo il loro consumo ed evitando di comprarlo in quantità eccessive prima di Pesach. La complessità della vita attuale rende spesso difficile osservare questa regola, eliminando abbondanti e costose scorte, senza incorrere in gravi perdite economiche. La tradizione rabbinica ha per questo trovato una soluzione legale, che è quella della vendita del chametz. Se il chametz non è di nostra proprietà e sta in locali di cui non si possa anche temporaneamente disporre, la sua presenza non rappresenta più una trasgressione del divieto della Torà. Se è di un altro ebreo, sarà lui a essere il trasgressore. Ma se è la proprietà è di un non ebreo, non ci sarà nessuna trasgressione, perché questi non ha nessun obbligo personale sul chametz. Come mettere in pratica questa soluzione? Prima di tutto, limitarne l’impiego con una programmazione attenta di acquisti e consumi. Poi, concentrando tutte le sostanze in un unico ambiente separato (una stanza, una soffitta, una cantina, un garage…, al limite –anche se non è una soluzione ideale- un armadio che rimane chiuso per tutto il tempo della festa). La proprietà del locale deve essere quindi ceduta con un contratto di affitto e quella delle sostanze ceduta con un atto di vendita. Alla fine di Pesach il contratto di affitto scade; l’acquirente, che ha versato alla stipula del contratto un acconto, può decidere di versare il saldo, diventando proprietario della merce, o rinunciare alla proprietà recuperando l’anticipo. In questa seconda ipotesi le merci tornano di proprietà del venditore. Ciascuno, avendone le competenze, può predisporre personalmente gli atti e affittare/vendere a un non ebreo i suoi locali e le sostanze che vi ha messo. Tutto questo potrebbe sembrare una finzione legale, ma perché funzioni è necessario che non sia una finzione ed abbia effettivo valore legale; è quindi necessario predisporre atti che siano validi sia per la legge ebraica che per la legge civile. Per questo è necessaria una adeguata competenza, che non tutti possono avere. Si risolve il problema delegando un rabbino competente alla stipula dell’atto; nell’atto di delega il delegante dovrà indicare il suo nome e l’esatta collocazione dei locali, rendendosi disponibile a renderli accessibili. Il rabbino delegato dispone il contratto collettivo di affitto/vendita e vi allega tutte le deleghe ricevute. Tutto questo entro l’ora di mercoledì mattina entro la quale è consentito godere del chametz.
Il chametz che non è stato venduto non può essere goduto dopo Pesach. Chi per esempio non ha venduto un pacco di spaghetti, o una bottiglia di whisky, dopo Pesach non può usarli per sé ma non può neppure offrirli a chiunque inviti in casa sua; quindi oltre a trasgredire una norma personale, metterebbe in situazione imbarazzante ognuno dei suoi ospiti. Un motivo in più per stare attenti all’osservanza di questa regola.
6 aprile 2009

Diete speciali: bambini piccoli, celiaci, diabetici
Sono numerosi i problemi che si creano per alcune categorie che hanno speciali difficoltà alimentari. Alcuni esempi:

Bambini piccoli: Quando è possibile, preparare gli alimenti direttamente a casa, che sono comunque sempre preferibili a omogeneizzati industriali, e non solo per questioni di kasherut; spesso basta un frullatore adeguato. Quando è necessario ricorrere a farinacei, scegliere i prodotti a base di riso e mais, indicati per i celiaci (che per questo non devono contenere i derivati dei cinque cereali). Nelle liste del Rabbinato di Parigi sono tollerati a Pesach i latti prima età Enfalac (fino a 5 mesi), Enfamil Premium 1 con lipil, Guigoz AR1, Milupa Digest, Nidal AR 1, Nidal Confort 1, Novalac AR 1, Novalac Transit plus; per la seconda età (in cui si può usare già latte di mucca normale scremato e adeguatamente diluito): Guigoz Confort 2 (solo liquido), Milupa AR2, Nidal confort 2, Nidal Novaia (polvere e liquido) , Novalac AR 2; a regime, su indicazione medica e in caso di gravi malattie: Nutramigen e Pregestemil. Usare recipienti separati.

Celiaci: sono intolleranti al glutine, la proteina che è presente proprio nei cinque cereali che fanno chametz. Per questo motivo i celiaci nella loro dieta non devono consumare derivati di questi cereali. Ora a Pesach esistono due norme distinte: quella che proibisce di mangiare il chametz per tutta la durata della festa (che va bene per i celiaci che comunque non possono mai mangiare i cereali da cui deriva il chametz) e quella che comanda di mangiare la matzà in quantità adeguata (nell’opinione più rigorosa 27 g per almeno due volte) durante il Seder (quando si benedice per la matzà e per l’afiqomen); rispetto a questo obbligo si ragiona in questo modo: se l’intolleranza al glutine è totale, i celiaci sono esenti dall’obbligo; se l’intolleranza è parziale, riducano la quantità di matza al margine tollerabile e/o cerchino matzot “alternative”, come quelle fatte con farina di avena (oat, che è uno dei cinque cereali, ma ha un contenuto minore di glutine) e che vengono fabbricate negli USA, nel Regno Unito e in Israele.

Diabetici: in linea di massima devono mantenere una dieta equilibrata con dei limiti alla quantità di ogni tipo di alimento ingerito. Per questo motivo la matzà obbligatoria le prime due sere (vedi sopra) va assunta nelle quantità minime per uscire d’obbligo e l’apporto calorico che ne deriva va sottratto al totale consentito nella dieta. Un altro problema comune per i diabetici e anche per tutti coloro che sono sottoposti a diete ipocaloriche è la sostituzione dello zucchero (saccarosio) con dolcificanti artificiali; di questi si possono usare solo quelli controllati. Ad esempio le Hermesetas vanno bene solo in forma liquida.
5 aprile 2009

I bambini a Pesach
“E lo dirai a tuo figlio” è l’ordine che caratterizza tutta la celebrazione della festa. Il senso è quello della trasmissione di una storia, di una appartenenza, di una missione. Non avrebbe alcun senso celebrare Pesach senza i piccoli intorno a noi, che invece devono essere al centro delle cose. La tradizione, codificando ogni momento del Seder, ha sottolineato l’esigenza di compiere gesti speciali e non abituali per destare la curiosità e le domande. I canti, con particolare riferimento a quelli finali (“uno chi sa”, “un capretto”), servono anche a mantenere viva l’attenzione proprio nei momenti in cui i piccoli sono abituati a dormire. Oltre alle regole codificate è però opportuno pianificare al meglio il processo educativo e i modi di partecipazione. Far dormire i piccoli nel pomeriggio, in modo che la sera del Seder siano svegli. Coinvolgere ognuno, a seconda dell’età e delle capacità con dei compiti specifici, in modo che si senta partecipe e non solo spettatore: dalla preparazione dei cibi e della tavola, cui i bambini possono partecipare con decorazioni fatte da loro stessi, alla lettura di brani dell’haggadà e di commenti; se frequentano corsi ebraici, proporre di raccontare in casa le cose che hanno studiato; anche i canti della festa possono essere l’occasione per organizzare cori, dividere ruoli ecc. Momenti speciali, come quello della lettura delle piaghe, diventano occasioni di “performances”, giochi, recitazioni. Possono essere attribuiti ruoli specifici durante il Seder, come la distribuzione dei vari cibi, o il lavaggio e l’asciugatura delle mani. Ogni bambino deve avere il suo posto, il suo bicchiere e qualcosa da bere (non il vino, ma succo d’uva non alcolico). Ognuno deve avere la sua haggadà, ancora meglio se speciale per i bambini, o se curata e colorata dallo stesso bambino nei giorni precedenti. L’atmosfera speciale della festa deve essere trasmessa; pensare a un dono per ognuno all’arrivo della festa, in modo che sia attesa con curiosità e gioia. Lasciare liberi dei tempi, anche piccoli, per rilassarsi con i piccoli, raccontando loro storie, leggere insieme un libro, giocare. Nei giorni di Chol haMoed organizzare gite e scampagnate familiari. Non lesinare spese per doni e cose che possono migliorare i rapporti familiari e dare serenità nei giorni festivi.
3 aprile 2009

Un evento speciale di quest’anno, La benedizione del sole
Secondo un antico calcolo della tradizione rabbinica, la sera di martedì 7 aprile 2009 il sole verrà a trovarsi nella stessa posizione in cui stava all’inizio della creazione. Il mattino successivo, mercoledì 8 aprile, entro le prime tre ore dall’alba, i fedeli, terminata la preghiera mattutina di Shachrìt, usciranno dalle Sinagoghe e davanti al sole reciteranno una preghiera speciale. Questo strano rito, detto Birkàt ha-chammà (benedizione del sole), si ripete nel calendario ebraico molto raramente: una volta ogni ventotto anni, perché appunto solo ogni ventotto anni il sole torna nella posizione iniziale del suo ciclo. Tutto questo ha uno strano aspetto di mistero, ma in realtà ogni particolare può essere spiegato; bisogna seguire un ragionamento un po’ complicato, che si cercherà di rendere il più chiaro possibile. Queste note ci introdurranno alla comprensione di quello che oggi è il più raro e probabilmente meno conosciuto dei riti ebraici.
Un evento che accade ad una certa ora del giorno, in un giorno della settimana e del mese, corrisponde a una determinata posizione sole-terra. La terra gira intorno al sole (un tempo si pensava il contrario) e impiega un anno per tornare nella stessa posizione in cui si era verificato l’evento. Sarà nello stesso giorno del mese, ma a che ora e in che giorno della settimana? Tra i Maestri del Talmùd c’erano due opinioni sulla durata dell’anno solare: quella di Mar Shemuel (la stessa alla base del calendario Giuliano) per cui l’anno è di 365 giorni e sei ore, e quella di Rav Adà bar Ahava che dava una misura lievemente inferiore, che più si avvicina ai calcoli attuali. Seguendo Mar Shemuel l’anno comprende 52 settimane e un piccolo resto di un giorno e un quarto, trenta ore. Che cosa comporta questa differenza? Che l’evento viene spostato di anno in anno, rispetto al conto della settimana, di 30 ore. Se, per esempio, un bambino è nato alle 6 di mattina di giovedi 1 gennaio 2009, l’anno dopo (che non è bisestile) sole e terra torneranno nella stessa posizione reciproca che avevano al momento della nascita il primo gennaio 2010, venerdi alle ore 12. La differenza aumenta di anno in anno (sabato 1 gennaio 2011 alle 18, ecc.); dopo quattro anni sarà diventata di cinque giorni; l’evento che si considera accadrà allora nella stessa ora del primo anno, ma in un giorno diverso della settimana. Si è compiuto quello che viene chiamato il «piccolo ciclo» del Sole. Ogni quattro anni cambierà il giorno della settimana e saranno pertanto necessari 7 cicli di quattro anni perché l’evento accada nuovamente nello stesso giorno della settimana, alla stessa ora.
Ecco dunque spiegato il misterioso numero 28: sette piccoli cicli di quattro anni fanno un «grande ciclo» di ventotto anni. Ma quale è l’evento astronomico che si considera? Secondo l’opinione prevalente è ciò che la tradizione chiama tequfàt Nisàn. L’anno è diviso in quattro stagioni, tequfòt; il termine tequfà (la cui radice indica il concetto di «girare intorno») si applica più precisamente al momento di inizio della stagione: quindi la tequfàt Nisàn è il momento di inizio della primavera, corrispondente all’incirca all’equinozio primaverile. Qual è il giorno prescelto nel calendario ebraico lunare, ai fini del rito che stiamo discutendo? Per stabilirlo dobbiamo rifarci al racconto della Genesi, e alle interpretazioni rabbiniche ad esso collegate. Nel primo capitolo della storia della creazione dell’universo, il sole e le altre sorgenti di luce furono creati nel quarto giorno della settimana, quindi dopo il «tramonto» del martedì. Che mese era? Su questo i rabbini sono divisi; una corrente, che poi ha avuto la prevalenza, sostiene che il mese era Nisàn. Dunque le prime ore del quarto giorno di Nisàn, il martedì sera, corrispondono all’inizio del ciclo solare nella creazione; di qui si conta la tequfà, perché quello è il momento in cui il sole ha cominciato a «girare»1. Come si è detto prima, affinché la tequfà torni ad essere esattamente nella stessa ora e nello stesso giorno della creazione, devono passare 28 anni. Ma come si fa a sapere quale è l’anno in cui si comincia il conto? La risposta è molto semplice: il numero degli anni del calendario ebraico viene fatto risalire alla creazione del mondo. Quindi basta dividere il numero dell’anno per 28 e quando si ha un resto uguale ad uno, quello è l’anno che ci interessa; appunto come l’anno in corso, il 5769, in cui ha inizio il 207° ciclo. Ecco dunque chiariti tutti i particolari del conto rabbinico.
2 aprile 2009

Animali domestici a Pesach
E’ permesso nel corso dell’intero anno dalla Torà dare agli animali carne non kasher (in base a Shemot 22:30). Il midrash (Shemot Rabba 31:9) collega questo permesso proprio alla storia dell’uscita dall’Egitto, durante la quale i cani frenarono la loro aggressività contro i figli d’Israele (Shemot 11:7), e per questo furono ricompensati con il dono della carne che è proibita agli ebrei.
E’ tuttavia proibito dare ai propri animali alimenti di cui siano proibiti a noi non solo il consumo, ma anche ogni altra forma di godimento (come quello economico). E’ il caso, in tutto l’anno, del miscuglio di carne e latte, e a Pesach del chametz. Il chametz non lo possiamo tenere dentro casa né averne alcun vantaggio, e questo può avvenire se si alimentano gli animali con cibo chametz. La presenza di chametz in cibi industriali è un’evenienza molto comune, e per questo le composizioni devono essere controllate e l’alimentazione va cambiata. Può essere pericoloso per l’animale cambiare bruscamente tipo di alimento a Pesach. Si suggerisce un’introduzione graduale nei giorni precedenti e una sostituzione graduale alla fine.
Se si lascia il proprio animale a un non ebreo durante Pesach, bisogna assicurarsi che non gli venga dato cibo chametz, eventualità molto possibile, perché molti alimenti abituali lo contengono. Se non ci sono alternative l’animale può essere venduto ed eventualmente riacquistato alla fine di Pesach.
Non è necessario acquistare nuovi recipienti (come le ciotole) per alimentare gli animali; devono però essere accuratamente puliti.
Le regole valgono anche per i pesci di acquario. Attenzione anche ai dispositivi di erogazione automatica che devono essere riempiti di cibo permesso. Si possono dare ai pesci vermi, insetti, larve; alcuni possono tollerare matzot tritate.
Attenzione invece agli uccelli, che non tollerano derivati delle matzot. I kitniot sono permessi, se in forma pura senza additivi; quindi si possono dare semi di girasole, miglio, papavero. Canarini e pappagali mangiano tutte le verdure e la frutta fresca che gli umani mangiano.
Ai gatti è preferibile dare pesce fresco e/o tonno in scatola.
I cani possono essere nutriti con carne, matzot e kintniot come riso.
Se si va allo Zoo non si può acquistare cibo non controllato da dare agli animali; dal momento che lo si acquista, anche se destinato ad altri, è di nostra proprietà.
Il cibo per pets che contiene chametz deve essere messo via e venduto prima di Pesach.
Nelle guide della Star-K americana sono citati alcuni prodotti industraili controllati.
1 aprile 2009

Cosmetici e articoli da bagno
Ogni cosmetico e prodotto da bagno può contenere sostanze chametz e pone il problema se possa essere usato o comunque tenuto in casa durante Pesach. C’è una regola rabbinica che stabilisce che ciò che neppure un cane mangerebbe, non essendo più un alimento, non è più considerato chametz. Semplicisticamente la “regola del cane” potrebbe essere applicata, per permetterli, a qualsiasi miscuglio di chametz non commestibile, come molti saponi o cosmetici. Non è così semplice in molti casi; perché una cosa non commestibile, ma preziosa per l’uomo (è il principio rabbinico dell’ achsheve) può continuare a essere considerata chametz, così come un miscuglio in cui si possa tornare a separare i componenti non può essere permesso.
I problemi principali si pongono per due tipi di prodotti:
1. Quelli che vengono a contatto con la bocca, di cui si avverte il sapore; i dentifrici devono essere controllati; così gli sciacqui orali (alcune note marche come Lysterine sono permesse); nel campo cosmetico i rossetti e i prodotti per le labbra dove la composizione va controllata per la presenza di derivati da cereali.

Il Beth Din di Londra elenca questi ingredienti sospetti:

Derivati dall’orzo (barley)
Amino-peptide complex
Barley extract
Hordeum Vulgarae
Phytophingosine extract

Derivati dall’avena (oat)
Aveena Sativa
Oat Flour
Oat Extract
Oat Beta Glucan
Sodium Lauroyl Oat Amino Acids

Derivati dal grano (wheat)
Disodium Wheatgerm Amino Peg-2 Sulfosuccinate
Hydrolysed Wheat Protein
Hydrolysed Wheat Gluten
Hydrolysed Wheat Starch
Triticum Vulgarae
Wheat Amino Acids
Wheat Bran Extract
Wheatgerm Oil
Wheat Protein

Secondo la stessa fonte, tutti i prodotti Revlon per le labbra sono consentiti.

2. I prodotti che contengono alcool, che a sua volta potrebbe derivare da cereali. E’ il caso di molti deodoranti liquidi, spray per i capelli, profumi, acque di Colonia e lozioni per barba.
La lista del Beth Din di Londra ha verificato l’origine non chametz per:

– Tutti i prodotti del gruppo Estee Lauder, che comprende prodotti venduti sotto i marchi:
a. Aramis
b. Bobby Brown Essentials
c. Clinique Laboratories
d. Origins Natural Resources
e. Prescriptives
f. Tommy Hilfiger Toiletries

– Tutti i profumi Blueberry

– Tutti i Charlie Body Sprays (Marketed by Revlon)

Sono invece accettabili:
Creme, lozioni e pomate antiacne; creme e lozioni non alcoliche in generale; soluzioni e detergenti per lenti a contatto; fili interdentari; deodoranti in stick e gel (mentre quelli liquidi devono essere controllati); matite e ombretto per cosmesi oculare; creme, pomate, lozioni e polveri per la cura delle mani e dei piedi; creme depilatorie; gel per capelli; prodotti per trucco come creme, lozioni, pomate; mascara e ciprie; pulisci unghie; polveri; shampoo e conditioners; saponi solidi e liquidi; protettivi solari in crema e lozione.
31 marzo 2009

Medicine e Pesach
Ogni farmaco può porre problemi di kasherut in tutto il corso dell’anno, che a Pesach si complicano ulteriormente, perché vi sono dei divieti speciali che riguardano il chametz: non solo mangiarlo, ma anche goderne e tenerlo in casa; le medicine posso contenere chametz in varie forme. Per fare un esempio, l’amido è presente in molte compresse; può derivare dal mais, che rientra nella categoria dei kitnyiot, ma può essre ricavato dai cereali, e allora è chametz. Per rispondere alle numerose domande bisogna considerare diversi aspetti: la gravità della malattia (in genere si distinguono tre livelli: il pericolo di vita, una malattia che impedisce di lavorare e un disturbo di lieve entità), la modalità di somministrazione del farmaco (orale per deglutizione o con avvertimento del sapore, o non orale come endovenosa, intramuscolare, spray, supposte, cutanea ecc.), la quantità e qualità della sostanza presente nel farmaco (se è chametz vero e proprio o un suo derivato, se è visibile, se si riconoscibile per il suo sapore). Si pongono pertanto numerosi differenti interrogativi che richiedono competenze specifiche.
In linea di massima valgono queste regole di comportamento:
Nessuno è autorizzato a decidere per conto proprio, interrompendo l’assunzione di medicine, pensando in questo modo di rispettare le regole religiose. Le regole religiose prescrivono anche di tutelare la salute e non incorrere incautamente in rischi non necessari. Ogni decisione deve essere preceduta da una consultazione con il medico, che deve chiarire se e quando è necessario il farmaco, se può essere interrotto o sostituito da altri o da altre vie di somministrazione. In base a queste informazioni si consulta un rabbino.
L’opinione prevalente è che tutte le compresse, con e senza chametz che si inghiottiscono senza avvertirne il sapore siano permesse. Rientrano in questo ambito i farmaci antiallergici, antidolorifici, antireumatici, antiacidi (non masticabili), antidiarroici. C’è chi è più rigoroso e non si ferma a questo permesso generico, ma chiede che il prodotto sia controllato. Se il prodotto non compare nelle liste controllate, consultare un rabbino.
Le vitamine e gli integratori alimentari, tranne in casi molto specifici e gravi, non sono considerate come farmaci e necessitano di controllo per poter essere autorizzate. A parte il chametz, questi tipi di prodotti sono molto spesso di origine proibita in tutto il corso dell’anno. Casi particolari in cui chiedere istruzioni sono la gravidanze e l’età neonatale.
Le medicine in forma liquida, solubile in liquidi aromatizzati o masticabile, di cui si avverte il sapore e che possono contenere il chametz richiedono una verifica con il curante (necessità/sostituibilità) e l’opinione rabbinica.
Il divieto Ashkenazita dei derivati dai kitnyot non riguarda il loro uso come medicine.
Pomate, lozioni, supposte, gocce oculari, cerotti cutanei sono permessi.

Negli Stati Uniti, in Francia e in Israele vengono pubblicate liste di farmaci controllati per Pesach. La lista francese e quella israeliana sono consultabili alla pagina informazioni utili di moked.it
Se il nome del prodotto (che deve essere della stessa ditta produttrice) corrisponde a quello in commercio in Italia si può ragionevolmente presumere che siano prodotti identici e quindi permettere il prodotto italiano.
30 marzo 2009

Pulizie di Pesach e prevenzione di incidenti domestici
Ogni parte della propria dimora e dei luoghi in cui esercita l’attività deve essere in questi giorni pulita e controllata, per essere pronti alla ricerca del chametz della vigilia di Pesach. In tempi antichi c’erano, grosso modo, due possibili situazioni: un’abitazione molto piccola, spesso affollata di gente povera, oppure una residenza molto grande. Nel primo caso bastava poco per controllare tutto. Nel secondo caso si trattava di padroni benestanti, che di solito erano affiancati da un abbondante servitù. Pesach in entrambi i casi non diventava un tour di force. Oggi è diverso perché le abitazioni sono più grandi ma con meno persone a disposizione per lavorare. Un gioco di parole diffuso (chissà da quanti secoli) tra gli ebrei italiani dice che “Pesach pesa”. Pesa sulle tasche, richiedendo spese fuori dal comune, per cibi e stoviglie nuove, e pesa sulle persone per le fatiche imposte dalle regole di pulizia e preparazione dei pasti. La tradizione però, con un certo margine di ironia, proibisce di usare questa e simili espressioni. Le feste devono essere accolte con serenità e con gioia. Ma è possibile? Probabilmente si, se si riesce a distinguere, negli alimenti, nelle pulizie e in tutto il resto, tra il necessario e il superfluo (che ci imponiamo perché cerchiamo la perfezione). Il desiderio di pulire tutto alla perfezione dà origine a tensioni, nervosismo, stanchezza. Bisogna sempre trovare il giusto equilibrio. Nel sito di morashà c’è un articolo in cui è suggerita una strategia per limitare eccessi.
Non c’è solo ilo problema del lavoro in eccesso con le sue conseguenze. La cura che si deve avere per adempiere con precisione a determinate regole di Pesach non deve essere minore dell’attenzione a prevenire incidenti che possono far danni. Esempi: la ricerca del chametz va fatta alla luce di una candela. Se la candela viene maneggiata in modo incauto, specialmente dai piccoli, può bruciare le persone o provocare incendi. Quindi attenzione a come la si manovra e dove la si porta (spazi angusti, nella macchina!). Una ragionevole alternativa, halakhicamente lecita, è una piccola torcia elettrica.
Altra situazione di rischio sono le procedure per la purificazione dei recipienti e stoviglie, da fare con acqua bollente (hag’alà) o portando gli oggetti a temperature molto alte (libbun). Non è raro vedere in uso in questi giorni oggetti come compressori e produttori di fiamme vari, tanto utili quanto pericolosi. Ma anche con mezzi abituali i rischi non mancano. Alcuni consigli: l’acqua bollente deve stare sempre nei fornelli più distanti dal corpo; i bambini vanno sempre tenuti a distanza di sicurezza; si può usare un servizio pubblico comunitaria di bollitura; si devono predisporre tutti i sistemi possibili per evitare il contatto con i recipienti surriscaldati e le fonti di calore (presine, pinze ecc.); si deve programmare in anticipo ogni operazione per avere sufficiente tranquillità (anche se alla fine il tempo non basta mai); è opportuno di anno in anno aumentare il corredo di recipienti dedicati solo per Pesach, per ridurre la quantità di lavoro; ricorrere a recipienti di cottura o consumo monouso che forse sono meno eleganti ma ce fanno risparmiare fatica.
Attenti anche alle candele per la festa , da tenere sulla tavola o in prossimità della tavola del Seder (che vanno accese mercoledì 8 sera e giovedì 9 sera-queste ultime dopo le 19,30 da fuoco già acceso). Non abbassare la sorveglianza perché si è abituati ad accenderle tutti i venerdì sera; può succedere che per la festa si cambi collocazione o supporto. Queste candele, così come il lume che si tiene acceso durante tutto il mo’èd per avere a disposizione un fuoco per cucinare (lasciandolo ovviamente estinguere da solo senza spengerlo direttamente), devono essere tenute sotto controllo e/o predisposte in modo da prevenire incidenti.
29 marzo 2009

Kitniot, legumi e affini
Il chametz deriva soltanto dalla lievitazione di cinque specie di cereali e quindi solo questi dovrebbero essere proibiti. Alcune tradizioni hanno però esteso il divieto ad altre specie vegetali, che vengono indicate con il nome di Kitniòt. Letteralmente il termine indica i legumi, ma comprende anche altri vegetali. Quindi non solo legumi in senso stretto (come fagioli, ceci, lenticchie, piselli ecc.), ma anche riso, mais, soia, mostarda. In tutti questi non esiste lievitazione, chimutz, ma solo decomposizione proteica, sirchon. Sono stati tuttavia proibiti per analogia e somiglianza alle modalità di uso dei cereali: estrazione di farine, impasti, modi di cottura. Un’altra possibile ragione del divieto è la possibilità di trovare in mezzo a questi alimenti dei chicchi o frammenti di cereali. Praticamente il divieto si è diffuso nel mondo Ashkenazita dal medioevo in avanti, ma non ha coinvolto, se non parzialmente, i Sefarditi e gli Italiani.
Anche chi permette le specie considerate kitniot deve controllarle in anticipo, verificando che nelle confezioni non siano dispersi residui di cereali. Alcune ditte produttrici di riso vengono controllate e sono più sicure in questo senso, in quanto garantiscono che nell’impianto industriale si lavora solo riso e non cereali. Nelle guide pratiche a cui si rimanda in questa pagina (come in quella di rav Somekh per Torino) vi sono nomi consigliati e sconsigliati. Un criterio di buona affidabilità è la garanzia (che viene data per proteggere i pazienti celiaci) dell’assenza di glutine, in quanto il glutine è sinonimo di cereale.
Chi consente i legumi di solito non acquista quelli già cotti (come fagioli in scatola).
Vi sono molti prodotti industriali che derivano dai kitniot, come la lecitina, dalla soia, e viene usata ad esempio nella cioccolata, e gli zuccheri derivati dal mais, come il sorbitolo, il destrosio, il glucosio. Altri prodotti sono l’anice, l’acido ascorbico e l’ascorbato di calcio, l’aspartame, l’olio di canola, l’acido citrico (che può essere direttametne derivato da chametz), il coriandolo, il cumino, il miglio, le arachidi, i semi di papavero, di sesamo, di girasole, il Tofu.
Un campo particolare è quello delle medicine, dove si può essere, per questo aspetto, più facilitanti; il divieto di kitniot non si applica alle persone malate.
Il divieto crea non pochi problemi nella convivialità tra ebrei di differenti tradizioni. Di solito a Pesach, anche per questi motivi, le normali regole di ospitalità in cui si onorano gli ospiti con cibi sono in qualche modo sospese e limitate per creare imbarazzi. Il livello dei rigori è tale, e vissuto con tale soggettività, che ciascuno è tenuto a rispettare le scelte personali di chi non accetta cibi fatti secondo i criteri che si è imposto.
27 marzo 2009

Che cosa è il chametz
Il chametz in senso stretto si produce solo da cinque specie di cereali: grano, orzo, avena, spelta, segale. Per chametz si intende sia il lievito che la sostanza lievitata. La tradizione antichissima ha delle corrispondenze precise dal punto di vista scientifico. La lievitazione è il processo biochimico in cui gli zuccheri (polisaccaridi, catene di molecole di glucosio) contenuti in questi cereali vengono demoliti fino a diventare semplici molecole di glucosio, mentre si libera un gas, l’anidride carbonica. Il processo avviene per l’azione di enzimi contenuti nei cereali, che si attivano appena la farina entra in contatto con l’acqua. Il gas liberato si accumula progressivamente e gonfia l’impasto. Anche se il processo di lievitazione comincia subito, appena c’è il contatto con l’acqua, ci vuole del tempo perché diventi riconoscibile a occhio nudo e l’impasto sia quindi considerato chametz; per la tradizione devono passare 18 minuti da quando si è fermato il processo di impasto. Se entro questo limite l’impasto è messo in forno, il processo si arresta, l’acqua evapora e l’enzima viene disattivato dal calore già a 80°.
Alimenti come riso e mais non contengono l’enzima (B-amilasi) che attiva il processo nei 5 cereali; nel mais e in altri vegetali si attiva un processo di decomposizione delle proteine che è diverso dalla lievitazione; viene chiamato tecnicamente dalla tradizione sirchon, per l’odore non gradevole che si produce.
Nei processi antichi e moderni di panificazione il processo di lievitazione viene promosso usando il lievito naturale, che deriva dalla pasta fresca, e il lievito artificiale che deriva da colture batteriche; entrambi hanno lo stato halakhico di chametz, più precisamente di seòr. Questi lieviti non vanno però confusi con il lievito minerale fatto di sostanze chimiche che reagendo tra loro producono un gas che gonfia l’impasto. Per quanto la cosa possa stupire in apparenza (ma non più di tanto se si capisce la logica del processo) i lieviti minerali, se controllati nella loro composizione, sono permessi dato che agiscono in modo diverso dal processo biologico del chametz.
26 marzo 2009