Cosa serve a Israele
Che squallore, che tristezza, persino in questi giorni difficili, assistere a nuovi rigurgiti di odio, a nuove smanie di cieco protagonismo di fronte agli interventi straordinari disposti da questa redazione giornalistica per intensificare il ritmo degli interventi, degli aggiornamenti e degli approfondimenti dedicati alla crisi mediorientale e alla necessità di difendere le ragioni di Israele di fronte al grave attacco terroristico che si trova a fronteggiare.
C’è chi annaspa per sostenere che le misure straordinarie adottate dalla redazione sarebbero tardive, ricalcherebbero le gesta di eroici “volontari” dediti alla propaganda pro Israele, sarebbero in ogni caso operate da giornalisti “lautamente pagati”.
Intendiamoci, niente di nuovo. Solo stupidaggini, veleni messi in circolazione ad arte dai soliti burattinai che emanano di fronte a ogni conflitto e ogni problema un sinistro senso di eccitazione, trovano la loro ragione di essere solo nella polemica, nella contrapposizione, nell’odio. Definiscono la propria identità solo attraverso di contrapposizione all’identità altrui.
Sono anni che si assiste in silenzio a questo penoso spettacolo che non vale neanche la pena di commentare.
Ma oggi che i nostri ragazzi rischiano la vita, che le popolazioni civili sono coinvolte, che la ferita è aperta, sulla sconcia, irresponsabile azione di questi portaborse della calunnia non si può più tacere.
Come è noto in questa redazione lavorano solo giornalisti professionisti regolarmente contrattualizzati e oltre 120 collaboratori volontari e non retribuiti. Basta fra l’altro consultare bilanci e contratti per constatare che un giornalista guadagna in media meno di una segretaria.
Il gioco delle scatole cinesi di aziendine della fabbrica del consenso che manovrano i social network e fingono di regalare qualcosa con la sinistra prendendo a piene mani con la destra non ci riguarda. I rabbini del Mussar hanno spiegato abbastanza chiaramente che ci sono coloro che prendono per dare (mantengono onestamente la propria famiglia svolgendo incarichi modestamente retribuiti e rendono con generosità un grande servizio alla collettività) e ci sono coloro che danno per prendere (fingono di donare qualcosa sperando poi di conseguire vantaggi occulti).
Ma non basta.
Chiunque lo desideri può chiedere di essere un collaboratore. E può anche aspirare a essere un redattore. Chi sogna di essere un giornalista professionista e non ci riesce non deve abbandonare le speranze. In questi giorni per esempio si sono svolte le prove di selezione per due nuovi praticanti giornalistici cui hanno partecipato ben venti candidati. E speriamo ci saranno nuove occasioni anche in futuro, soprattutto se la redazione spendendo il proprio credito professionale sarà nuovamente in grado di conquistare risorse e sponsorizzazioni che finanzino queste iniziative senza gravare sui conti delle istituzioni ebraiche.
E infine, questa redazione realizza molti prodotti giornalistici stampati e online. Il lettore consapevole lo sa, lo vede ogni giorno. L’abituale lavoro quotidiano riempie ampiamente le giornate lavorative. Le iniziative straordinarie dedicate alla crisi sono un gesto straordinario e volontario compiuto liberamente dai redattori per affrontare un momento difficile.
Il nostro augurio è che non abbia a protrarsi, che duri il meno possibile. E non solo perché la redazione lavora già comunque intensamente giorno e notte. Ma soprattutto perché il nostro compito è di raccontare il valore di Israele, lo straordinario patrimonio di cultura e di democrazia che il terrorismo mette a repentaglio.
Israele non ha bisogno di propaganda, ma solo di corretta conoscenza. Israele non è un conflitto come alcuni vorrebbero farci credere. E men che meno una squadra di calcio per cui fare il tifo. E’ una realtà vivente, complessa e meravigliosa, talvolta contraddittoria. Israele non ha giovamento nel negare la realtà, né nel contrapporre la sofferenza propria alla sofferenza altrui. Non ha bisogno di supporter, si accontenta di sincere amicizie.
Il nostro ardente desiderio è quello di tutta la società israeliana che ha i propri figli impegnati in prima linea contro gli orrori dell’odio e vorrebbe vederli al più presto tornare a casa: interrompere al più presto possibile l’angoscioso notiziario dal conflitto. Tornare a raccontare con intensità la meraviglia della civiltà di Israele.
Quel giorno sarà un gran giorno per tutti coloro che amano Israele, salvo che per coloro che vedono nel conflitto solo una nuova occasione per battere la grancassa.
Che presto arrivi per noi e che i nostri figli possano conoscere solo giorni di pace. Anche a rischio di deludere le smanie dei portaborse dell’odio.
gv
(21 luglio 2014)