“L’oro di Roma”, con Lizzani all’Università di Roma Tor Vergata

Hanno ricordato l’anniversario della deportazione del 1943 degli ebrei romani con una proiezione speciale del film “L’oro di Roma” (1961) di Carlo Lizzani (nell’immagine) con la partecipazione dello stesso regista. Gli invitati del Centro romano di studi sull’ebraismo e gli studenti del corso di Storia e cultura degli ebrei in età moderna tenuto da Myriam Silvera dell’Università di Tor Vergata. la manifestazione era organizzata con la Facoltà di Lettere e Filosofia, il Dipartimento di Storia, il Dottorato di Italianistica e Spettacolo.
Alla retrospettiva erano presenti oltre 400 persone, tra studenti dell’Università di Tor Vergata e quelli di alcuni licei romani. Tra loro varie personalità accademiche e non, che hanno dato il loro contributo all’iniziativa con interventi ricchi di considerazioni suggestive, fra cui Renato Lauro, rettore dell’Università di Tor Vergata, che ha aperto l’incontro ricordando l’importanza della memoria del passato, in questo caso lacunosa e cupa. Ha poi preso la parola Francesco Scorza Barcellona ribadendo l’impegno del CeRSE per la memoria di questa triste data. La proiezione del film è stata preceduta da una introduzione di Giulia Sermoneta, testimone diretta dei tragici eventi del 1943. Come rievocato dal film di Lizzani, il 26 settembre di quell’anno il colonnello nazista Herbert Kappler riunì il presidente dell’Unione delle Comunità israelitiche, Dante Almansi, e il presidente della Comunità ebraica romana, Ugo Foà e pretese la consegna di 50 chili d’oro entro 36 ore; in caso contrario 200 ebrei romani sarebbero stati deportati in Germania “o altrimenti resi innocui”. Giulia Sermoneta fu coinvolta negli eventi che accompagnarono la raccolta dell’oro, che, come è noto, fu ben lungi dallo scongiurare il 16 ottobre successivo la cattura di 1259 cittadini romani. Lo zio era infatti un rappresentante di argenteria e oreficeria e, in quanto tale, tra gli addetti alla pesa dell’oro. Quando i nazisti iniziarono la razzía si gettò insieme alla madre dalla finestra della sua abitazione nei pressi di Castel S. Angelo; entrambe riportarono svariate lesioni, ma ebbero salva la vita.
Ispirato dallo scritto di Giacomo Debenedetti “16 Ottobre 1943”, il film di Carlo Lizzani propone delle varianti rispetto al testo – come ha sottolineato Andrea Gareffi, docente di Letteratura italiana – ma non rinuncia a ricreare nel film la visione di chi è stato “dentro le cose” proposta da Debenedetti, il quale coniuga testimonianza e racconto. Infatti, se la testimonianza propone una sorta di interpretazione razionale della storia e dei fatti avvenuti, il racconto interviene con una visione non necessariamente cronologica coinvolgendo soprattutto la sfera dei sentimenti.
Giovanni Spagnoletti, docente di Storia e critica del cinema, ha offerto una panoramica del clima politico e cinematografico che ha accompagnato, all’inizio degli anni ’60, l’uscita del film. Un clima ricco di “tensione politica e morale”, la stessa che aveva portato alla Resistenza e alla nascita della Repubblica e che, nonostante ciò, si era eclissata nel corso degli anni ‘50.
Myriam Silvera è intervenuta sui molteplici aspetti di cultura ebraica cui “L’oro di Roma” rimanda, ricordando la personalità di Augusto Segre che aveva prestato la sua consulenza nella sceneggiatura del film. In particolare si è soffermata sulla novità, rispetto al testo letterario di Debenedetti, della figura del partigiano ebreo Davide che di mestiere è calzolaio. Nei racconti dei chassidim, così come riproposti anche da Martin Buber, la figura del ciabattino è spesso richiamata. L’atto della riparazione è, infatti, considerato dagli antichi maestri un atto che avvicina la Redenzione: Davide afferma che non vuole più combattere solo come ebreo, ma con tutti gli altri italiani e, richiamandosi ai momenti eroici della storia ebraica, comunica un messaggio carico di speranza sulla vicina liberazione comune. Il messaggio di Marek Edelmann, uno dei capi dell’insurrezione del ghetto di Varsavia, era molto più tragico, e perciò estremamente coraggioso: in quel caso si trattava di “scegliere il proprio modo di morire”. Denso di significato poi il titolo del film, che sottolinea come questo ennesimo sopruso dei nazisti, la rapina dell’oro, debba essere considerato un torto sofferto a un tempo dalla comunità ebraica di Roma e da tutta la città di Roma. A conclusione del suo intervento Myriam Silvera ha letto un brano tratto dal libro di Fausto Coen “16 ottobre 1943”, ricordando il numero complessivo degli ebrei romani deportati ad Auschwitz, di cui solo 17 fecero ritorno.
Carlo Lizzani, infine, ha concluso la retrospettiva tornando su alcune considerazioni a proposito della situazione cinematografica dell’Italia post-neorealismo in un clima di forte cambiamento politico in senso liberal-democratico che facilitò la ricezione del film. Ma, al di là delle aggiunte e, talvolta, delle forzature – sia rispetto al racconto di Debenedetti sia rispetto alla storia – Lizzani ha però saputo racchiudere in un film suggestivo non solo la memoria drammatica di quanto accaduto il 16 Ottobre 1943, ma anche il messaggio del valore e dell’importanza “di salvarsi insieme per cercare di salvarsi da soli”.
Significativo poi il contributo di Giulio Latini, docente di Comunicazione multimediale che, riprendendo l’intervento di M. Silvera, ha osservato come il film di Lizzani si distingua nell’ambito della cinematografia dedicata alla Shoà, proprio per la sua attenzione al patrimonio culturale ebraico. Tranne rare eccezioni, ha detto Latini, i film sulla Shoà risultano del tutto privi di contenuti ebraici. L’incontro è stato presieduto da Rino Caputo, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia.

Maria Rita Salustri