La terza generazione

Testimoni del non-provato. Ricordare, pensare, immaginare la Shoà nella terza generazione” è il titolo del libro di Raffaella Di Castro, pubblicato di recente dall’editore Carocci.
L’autrice, che ha studiato filosofia a Roma, Messina e Berkeley, in questo libro affronta il tema della memoria della Shoah, oggetto di una riflessione profonda da parte di storici, insegnanti, pedagogisti, psicologi e studiosi di ebraismo in Israele e nelle comunità ebraiche nel mondo. Una riflessione che in Italia si è intensificata soprattutto dopo l’istituzione del Giorno della memoria (legge 20 luglio 2000 n. 211). Il rapporto tra storia e memoria, il ruolo delle testimonianze dei sopravvissuti, la trasmissione della memoria alle future generazioni, le cerimonie e le commemorazioni pubbliche, l’uso politico della memoria sono solo alcuni dei temi al centro del dibattito.
Questa ricerca affronta il tema da un’angolazione particolare, partendo da un interrogativo posto dall’autrice “siamo sicuri che la scomparsa delle vittime della Shoah sia ‘il problema cruciale’ del momento che imporrebbe a figli e nipoti il ruolo di ‘nuovi testimoni’? Non potrebbe rivelarsi un falso problema – o un falso dovere – che rischia di danneggiare e persino di dimenticare la memoria stessa, al pari di alcune frettolose e categoriche tendenze di segno opposto a stigmatizzare il dovere di memoria come ‘eccesso’ , ‘patologia’, ‘abuso’?” Il cuore della ricerca sono 23 interviste a ebrei prevalentemente romani, definiti di “terza generazione”, figli o nipoti di sopravvissuti alle persecuzioni razziali o alle deportazioni, persone che hanno ricevuto dai nonni o dai genitori, all’epoca ancora bambini, una trasmissione diretta della memoria delle persecuzioni fasciste e naziste, che non hanno vissuto quelle vicende in prima persona: per questo “testimoni del non-provato”.
Il libro è strutturato in tre parti, che possono essere lette anche in modo autonomo l’una dall’altra.
“Nella prima parte – dice l’autrice – essendo io stessa ebrea di terza generazione, ci sono stralci della mia intervista. Prima di intervistare i miei compagni di terza generazione ho ritenuto opportuno farmi intervistare io stessa. L’ intervista ha poi costituito la premessa per impostare le interviste agli altri. E viceversa poi ascoltare le interviste degli altri mi ha permesso di riflettere e prendere coscienza dei meccanismi della mia stessa memoria”. In questa prima parte Raffaella Di Castro spiega anche il metodo usato nell’analisi e nella riflessione sulle interviste, oggetto della seconda parte, quella più teorica e filosofica del libro, in cui l’autrice riflette “ sui rischi degli usi di memoria nell’epoca attuale”.
Nell’ultima parte ci sono le interviste ai 23 “testimoni del non-provato” intervallate da riflessioni.
“Alcuni storici – spiega l’autrice – parlano di amnesia della Shoah nelle memorie nazionali europee”, da una parte di una memoria segreta, privata, familiare, dall’altra di un’amnesia collettiva. “E la terza generazione – continua Raffaella Di Castro – è testimone del passaggio da questa memoria privata, segreta a una sorta di iperesposizione pubblica della Shoah, che ha raggiunto il suo apice con l’istituzione del Giorno della memoria. Nelle interviste viene fuori anche il modo in cui gli ebrei di terza generazione vivono questo passaggio. Io stessa faccio parte della terza generazione, quindi ancora prima di un libro questo lavoro, questa ricerca, è stata un’elaborazione delle mie stesse memorie. E ci sono state varie tappe che mi hanno portato a iniziare questa ricerca. In qualche modo questo stesso libro è frutto dei tempi, un effetto di questo passaggio dall’ amnesia all’ assunzione di responsabilità sociale e collettiva di questa memoria”
Per Raffaella Di Castro la prima tappa di questo percorso è stata la pubblicazione del diario del nonno che, negli anni ’90, vinse il premio dell’Archivio della memorialistica di Pieve Santo Stefano: “un diario che mio nonno non avrebbe mai voluto pubblicare ma, sia pure con grandi preoccupazioni da parte di noi nipoti e figli, sia pur violando la privacy di mio nonno, che era già morto all’epoca, abbiamo deciso che quel diario aveva un’importanza, una funzione di testimonianza pubblica; la pubblicazione di questo diario…. è stata una specie di detonatore di presa di coscienza di come funzionava la mia memoria”.
“Il nodo e anche il grande interesse della ricerca e del volume che la presenta”, scrive Clotilde Pontecorvo nella presentazione, stanno nell’ “ intreccio tra una prospettiva filosofica rigorosa e assai ben documentata e l’indagine del mondo emotivo e narrativo dei suoi coetanei, che hanno vissuto esperienze analoghe ma diverse e specifiche, da lei ascoltate e interpretate con empatia e fine sensibilità” “Il rischio principale che mi sembra di intravedere – continua Raffaella Di Castro – sia nella memoria pubblica della Shoah sia nelle memorie individuali degli ebrei di terza, ma anche delle future generazioni, è il rischio che questa memoria venga intrappolata in una memoria tutta traumatica: una memoria che naturalmente si tramanda di generazione in generazione con il rischio però di diventare sempre più vuota, con la difficoltà, man mano che ci si allontana dagli eventi, di riconoscere il trauma come tale. Dall’altra parte c’è anche il rischio di una memoria eccessivamente moralistica: l’aspetto fondamentale, il centro della riflessione della seconda parte (del libro) più teorica è proprio una riflessione sui rischi del dovere di memoria”, quando ricordare diventa un dovere, un rituale, una memoria astratta e moralistica che si sostituisce alla memoria stessa.
E’ un tema importante e coinvolgente che riguarda l’identità ebraica, la vita individuale degli ebrei di oggi e il loro rapporto con la società. Proprio per questo l’ Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha voluto sostenere questa ricerca e la pubblicazione del libro grazie al Fondo Internazionale Assistenza alle Vittime delle Persecuzioni Naziste in stato di bisogno, (legge 249/2000).
“Questo libro, – conclude l’autrice – che è sicuramente un libro difficile, può essere rivolto a lettori di diverso tipo, non soltanto a specialisti, storici, filosofi, teorici, ma anche agli stessi ebrei di qualsiasi generazione. Ma spero, soprattutto, a una lettura degli altri: nella stesura di questo libro ho sempre cercato di pensare ai non ebrei, a potenziali lettori non ebrei, e mi auguro che possa essere comprensibile da tutti”.

Piera Di Segni

L’AUTRICE RAFFAELLA DI CASTRO RACCONTA IL SUO LIBRO IN QUESTO VIDEO