Chiesa e leggi antiebraiche: i punti fondamentali

Alla luce della dottrina esplicitata nell’Enciclica, mai pubblicata, Humani Generis Unitas antirazzista ma non anti-antisemita, voluta da Pio XI, e degli articoli comparsi sulla stampa cattolica, la Chiesa non era avversa all’idea di una legge di “contenimento” e di segregazione degli ebrei nei paesi cattolici in generale e in Italia in particolare. Il modello era l’Ungheria, paese che aveva emanato il 29 maggio 1938 una legge per ” riequilibrare la vita sociale ed economica del paese”, eufemismo per dire che gli ebrei sarebbero stati messi ai margini della società. Padre Enrico Barbera nel suo lungo articolo su Civiltà Cattolica del luglio del 1938 dal titolo La Questione dei giudei in Ungheria accolse con entusiasmo la legge ungherese tesa a considerare l’ebraismo come un corpo estraneo alla nazione magiara e a preservare l’identità nazionale da una eccessiva influenza ebraica. Si trattava dell’applicazione di un antigiudaismo nazionale “non esagerato” e privo delle connotazioni razziali, auspicate invece dalla dottrina nazista.

Diversamente dall’Ungheria, il regime fascista, nella primavera del 1938 stava maturando un antisemitismo di qualità razzista che non poteva essere gradito alla Chiesa. Le carte vennero allo scoperto con il documento Il fascismo e i problemi della razza, (noto come Manifesto degli scienziati razzisti) del 14 luglio 1938, verso cui Pio XI dimostrò un’avversione profonda, anche se non condivisa del tutto dai suoi collaboratori. Il suo discorso antirazzista e antimussoliniano (“come mai disgraziatamente l’Italia abbia avuto bisogno di andare ad imitare la Germania” ) del 28 luglio 1938 agli alunni del Collegio “De Propaganda Fide” fu riportato dall’Osservatore Romano il giorno successivo. Mussolini reagì con un piccato discorso, risuonato con ampiezza su tutta la stampa (”Sappiate, ed ognuno sappia, che anche nella questione della razza noi tireremo diritto. Dire che il Fascismo ha imitato qualcuno o qualcosa è semplicemente assurdo”) e fece ordinare, tramite il Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri ai quotidiani e ai periodici cattolici di astenersi “da ora in poi di pubblicare l’allocuzione pontificia del 28 luglio” e di” pubblicare articoli contro il razzismo, anche se tale opposizione sia soltanto contro il razzismo tedesco”.
Ordinò anche al suo Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, di convocare il Nunzio Borgongini Duca per manifestargli la sua irritazione e per esporgli i motivi della politica razziale, nell’Impero contro i neri, e in Italia contro gli ebrei.

Il 5 settembre, uscì il decreto legge con il quale si sanciva l’espulsione degli ebrei dalle scuole e il 7 settembre il decreto legge per l’espulsione degli ebrei stranieri dal suolo italiano. In ambedue le leggi, il testo diceva che era considerato ebreo chi fosse nato da genitori ebrei, anche se professava religione diversa da quella ebraica.
Le leggi di eccezione, condivisibili dalla Chiesa se formulate alla maniera Ungherese, non lo erano più se, come sembrava dai primi due decreti-legge, erano giustificate dall’idea razzista. La razza ora sembrava prevalere sulla religione professata: se un ebreo si fosse convertito al cattolicesimo, sarebbe stato considerato dallo Stato egualmente ebreo, vanificando la dottrina stessa della Chiesa tesa alla conversione degli ebrei come soluzione ultima della “questione ebraica”.

La Chiesa aveva una sua propria tradizione antiebraica che perseguiva i propri scopi e rispondeva a sue proprie esigenze, non aveva nessuna intenzione di abbracciarne ora un’altra.
In questo spirito si colloca il discorso papale del 6 settembre 1938 ricevendo un gruppo di pellegrini belgi, nel quale Pio XI pronunciò la famosa frase “Spiritualmente, noi siamo dei semiti”. Vediamo meglio di che cosa si tratta. Il passaggio, per intero suona così: “[…] Fate attenzione: Abramo è nostro patriarca, nostro antenato. L’antisemitismo non è compatibile con il pensiero e la forma sublime che si trova in questo testo [preghiera Supra quae propitio, pronunciata durante la Messa]. E’ un movimento antipatico, un movimento col quale noi cristiani non dobbiamo avere niente a che fare. […] No, non è possibile per i cristiani prendere parte all’antisemitismo, noi riconosciamo a chiunque il diritto di difendersi, di procurarsi i mezzi per proteggersi da tutto ciò che minaccia i suoi legittimi interessi. Ma l’antisemitismo è inamissibile. Spiritualmente, noi siamo dei semiti”. Il Papa qui esprime la sua netta condanna all’antisemitismo puramente razzista, non certo all’antigiudaismo, cioè l’ostilità antiebraica tradizionale della Chiesa e, addirittura, pronuncia una frase riferita alle leggi antiebraiche, come un diritto dello stato a difendersi (evidentemente dal pericolo giudaico).

Ciò che il Papa non ammetteva era solo il razzismo e, nel razzismo, anche il razzismo antisemita, operando una netta distinzione tra quello che lui chiamava antisemitismo (non accettabile) e l’antigiudaismo (accettabile e anzi auspicabile, se gestito dalla Chiesa). Ciò che oggi, dopo la shoah, sembra un puro giro di parole, era una ferma idea della Chiesa, idea sulla quale essa era pronta a dare battaglia.
Il 7 settembre, il Papa fece sapere, tramite Padre Tacchi Venturi, di essere preoccupato e due giorni dopo gli dava incarico di farlo sapere a Mussolini (” il Santo Padre come italiano si contrista veramente di vedere dimenticata tutta una storia di buon senso italiano, per aprire le porte o le finestre a un’ondata di antisemitismo tedesco”).
Nel frattempo negli ambienti diplomatici vaticani circolavano voci che preannunciavano il proposito di vietare i matrimoni misti tra ariani e non ariani. La cosa, questa volta, allarmò la Santa Sede poiché, secondo l’articolo 34 del Concordato, i matrimoni religiosi venivano trascritti automaticamente nei registri di stato civile, anche se celebrati “con dispensa per disparità di culto” cioè quelli di un cattolico con un ebreo. Se ora lo Stato, in virtù delle leggi razziste, proibiva questi ultimi matrimoni perché interpretati secondo la nuova ottica di matrimoni tra “ariani” e “non ariani”, un contrasto fortissimo si profilava all’orizzonte. Ma c’era ancora di più, un altro caso di matrimonio “misto” , quello di un cattolico con un ex ebreo che si fosse previamente convertito al cattolicesimo, era molto ben visto dalla Chiesa ed era ora a rischio.

Malgrado il disappunto vaticano, il Gran Consiglio del Fascismo riunitosi la sera del 6 ottobre 1938, emanò le Dichiarazioni sulla razza il cui primo enunciato fu proprio il divieto di matrimoni di italiani e italiane con elementi appartenenti alle razze camita, semita e altre razze non ariane.
Le Dichiarazioni del Gran Consiglio erano destinate a essere tradotte in legge e, allora, si sarebbe forzatamente dovuto prendere in considerazione l’art.34 della legge 27 maggio 1929 che regolava il riconoscimento civile del matrimonio religioso. Il Papa decise di farne cenno sull’Osservatore Romano dell’8 ottobre 1938 in attesa che il governo italiano chiedesse di trattare.
Poiché ciò non avveniva, il 19 ottobre 1938, Pio XI chiese al Nunzio in Italia Borgongini Duca di stendere due promemoria, uno circa la questione di trattare gli ebrei sotto il profilo della razza, l’altro, sui matrimoni tra ariani e non ariani.

Si sottolinea come la cosa inquietante per la Chiesa non fosse l’idea di una nuova legislazione che metteva gli ebrei nella condizione di sudditi privi di diritti civili, cosa sulla quale essa non aveva da eccepire. L’oggetto del contendere si limitava alla definizione di ebreo, sulla base dell’inaccettata ideologia razzista e, ancor più, alla regolamentazione dei matrimoni “misti”, che non salvava il principio della conversione.
Mentre la questione della definizione di ebreo, era squisitamente di ordine politico e il malcontento della Chiesa poteva solo essere espresso con forza e nulla più, quello dei matrimoni misti coinvolgeva uno degli accordi siglati tra Stato e Chiesa, accordo che la Chiesa aveva elaborato in base al proprio diritto canonico. La Chiesa non poteva negare ora, per fare piacere a Mussolini, le basi del proprio diritto canonico che accettava per l’appunto: a) il matrimonio tra un ebreo che rimaneva ebreo e una cattolica, in presenza dell’impegno ad educare cattolicamente la prole e dietro speciale dispensa (matrimonio detto comunemente paolino), b) il matrimonio tra un ebreo convertito al cattolicesimo e un cattolico.
La Santa Sede dette battaglia su queste due questioni con particolare forza.

Malgrado le pressanti richieste vaticane di venire informati sul testo della legge, la Santa Sede ebbe modo di esaminarlo soltanto il 2 novembre 1938, quando Padre Tacchi Venturi ricevette dal Ministro dell’Interno Buffarini Guidi la parte del progetto di legge dal titolo Provvedimenti per la tutela della razza italiana riguardante i matrimoni (capo 1). Constava di otto articoli che furono esaminati con attenzione dai competenti organi ecclesiastici lo stesso giorno.
Solo l’articolo 7 conteneva una lieve concessione alle richieste della Chiesa cattolica, mentre il regime si era fissato nella proibizione del matrimonio tra cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza e nel considerare il matrimonio celebrato in contrasto con tale divieto, nullo.
Si era ormai alla rottura, il Pontefice non poté far altro, come extrema ratio, che rivolgersi, con una lettera, direttamente a Mussolini, allegandogli il testo del richiesto emendamento all’art.7
La cosa non sortì nessun effetto, il Capo del Governo non si degnò neppure di una risposta diretta e comunicò seccamente di non poter accogliere la modifica alla legge suggerita.

Il 5 novembre 1938, il Pontefice tornò alla carica con una lettera diretta al Re perché intervenisse. Anch’essa rimase senza risultato. Anzi Mussolini, offeso per la pressione esercitata dal Pontefice sul re, si mostrò ancora più rigido e inviò al re stesso il seguente telegramma: “Vostra maestà può rispondere al Papa dicendogli che copia della di lui lettera mi è stata rimessa e che ne sarà tenuto il massimo conto ai fini di una soluzione conciliativa dei due punti di vista i quali – aggiungo io – sono molto antitetici. Anche noi abbiamo già accettato due delle richieste pontificie; accettando la terza ne verrebbe vulnerata la legge. Tuttavia faremo il possibile per escogitare una soluzione media soddisfacente per tutti. E’ mia impressione che il Vaticano tiri alquanto la corda quando si tratta d’’Italia e molli completamente in altri casi. Desidero giungano alla Maestà vostra miei devoti omaggi”.
La notte tra l’8 e il 9 novembre Tacchi Venturi inviò a Mussolini un ultimo accorato appello. Ma ormai i giochi erano fatti, il 10 novembre il Papa apprese dai giornali della sera, e nemmeno per via diplomatica, della decisione del Consiglio dei Ministri di emanare i Provvedimenti per la Difesa della Razza Italiana che contenevano, tra le altre gravi leggi, il divieto di matrimoni misti, senza eccezione alcuna, cioè nella primitiva stesura, senza aver tenuto in alcun conto i desiderata del Papa.
La Santa Sede preparò allora una nota ufficiale di protesta, consegnata all’Ambasciata d’Italia il 13 novembre 1938 e un articolo per “L’Osservatore Romano” comparso il giorno 14 col titolo su due colonne A proposito di un nuovo decreto legge. La Gazzetta Ufficiale del 19 novembre successivo pubblicò il testo del decreto-legge 17 novembre 1938 senza tenerli in alcun conto.

Un accordo tra Stato e Chiesa non fu mai raggiunto, anzi le note di protesta del Vaticano continuarono ad essere elevate, senza cambiare in niente la sostanza della diatriba. Il 24 dicembre successivo, nell’allocuzione natalizia, Pio XI ringraziò Dio per la pacificazione religiosa, ringraziò anche il Re “e il suo “incomparabile Ministro” ma non mancò di denunciare nel contempo i maltrattamenti subiti dall’Azione Cattolica, “la sua beniamina” e per la ferita inferta al Concordato “proprio in ciò che va a toccare il santo matrimonio che per ogni cattolico è tutto dire”.
La Chiesa cattolica, di fatto, aveva perso la sua battaglia diplomatica e morale sul riconoscimento dei matrimoni misti da parte delle autorità civili.
Altre due questioni, sulle quali però non fu aperta una diatriba diplomatica, ma furono solo fatti fermi richiami, erano sgradite al Vaticano, una era il mancato riconoscimento da parte del governo dello status di cristianità (leggi arianità) per quegli ebrei che avevano fatto domanda di convertirsi al cattolicesimo prima del 1° ottobre 1938 ma che non erano stati ancora battezzati perché la loro educazione cattolica era ancora in corso, cioè erano dei catecumeni. La legge del 17 novembre 1938, n.1728 diceva infatti che non erano riconosciuti ebrei i nati da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, se al 1° ottobre 1938 appartenevano a religione diversa da quella ebraica. Ora la Chiesa chiedeva, ma invano, che i catecumeni fossero considerati appunto di religione diversa da quella ebraica perché cattolici in pectore.

L’altra questione sulla quale c’era disaccordo, era la difficile situazione in cui si trovavano di fatto le famiglie miste a causa di un capofamiglia (o dell’altro coniuge) colpito da leggi antiebraiche, tali famiglie erano 6.820 secondo una statistica del Ministero dell’Interno. La legge, basandosi sui principi razzisti, teneva conto per definire chi era ebreo solo della “qualità” dell’individuo alla sua nascita e non degli eventuali suoi successivi cambiamenti di religione Per la Chiesa invece, come già detto, gli ebrei battezzati erano cattolici a tutti gli effetti. La Santa Sede chiedeva in sostanza di assimilare le famiglie miste alle famiglie ariane. Su questo punto benchè anche il Ministro dell’Interno di Mussolini, Buffarini Guidi concordasse, non ci fu mai revisione. Il 2 settembre e il 4 ottobre 1939 e di nuovo il 26 luglio 1940, Buffarini propose per iscritto al dittatore di arianizzare i misti cattolici e di allontaanare gradualmente dal territorio del Regno tutti gli altri.
In conclusione, possiamo dire che Pio XI assunse a) una decisa posizione contraria all’ideologia razzista (comprendendo in questa anche la forma del razzismo antisemita o dell’antisemitismo razzista) propugnata da nazisti e fascisti; b) che questo non significò non riaffermare la vecchia teologia antigiudaica che, anzi, fu riproposta con forza nella sua Enciclica Humani Generis Unitas (cosiddetta nascosta); c) che la principale questione sulla quale fu messo in campo un fiero confronto fu quella dei “matrimoni misti”, per l’evidente vulnus al Concordato che essa comportava; d) che la tutela dei cosiddetti cattolici “non ariani” (cioè degli ebrei convertiti) fu assunta dalla Chiesa fin dall’inizio con grande impegno.
Rimane da parlare, ed è un’altra storia, del vulnus portato agli ebrei con la legislazione d’eccezione emanata dal fascismo sul quale una discussione non fu accesa e degli ebrei rimasti ebrei, che non poterono usufruire della benevola attenzione della Chiesa cattolica.

Liliana Picciotto, Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – Milano

(il testo è uno stralcio pubblicato in anteprima di uno studio ancora in corso di realizzazione che vede la collaborazione di Cdec Milano e Yad Vashem)