I marrani, le feste ebraiche e il digiuno di Ester
Non si sa molto sul modo in cui i marrani continuassero a celebrare le feste ebraiche. Al di là del grande ridimensionamento del ciclo festivo, c’era però una ricorrenza che aveva acquistato enorme importanza: il digiuno di Ester. Nei verbali dell’Inquisizione quel digiuno era la prima data considerata “sospetta”. Purim aveva assunto per i marrani dignità superiore a quella di Kippur. Tutto, però, del Purim era stato dimenticato – in particolare la gioia. Avevano mantenuto solo il digiuno che osservavano con rigore sconosciuto all’ebraismo tradizionale. Lo prolungavano – in ricordo della regina (Ester 4, 16) – per tre giorni.
Non sorprende che i conversos, per i loro grandi sensi di colpa, la loro afflizione e la loro mestizia, scorgessero in Ester, la “segreta”, capace di rivelare al momento opportuno l’identità a cui era rimasta fedele, il simbolo, splendido e potente, della loro esecrabile condizione. Il più grande poeta marrano João Pinto Delgado ha scritto questi versi nel suo Poema della regina Ester: “lo splendore che sprigiona la sua bellezza rischiara la notte e oscura il giorno”. Sta qui forse il senso dell’esperienza marrana: la vita è giocata nella negatività della notte, mentre il giorno dell’esistenza, nella storia ebraica, affonda fino a scomparire.
Sappiamo che la storia di Estèr simula il nascondersi Divino – “… e Io continuerò a nascondere i Miei volti …”, hastér ’astìr (Deut 31, 18). Ma per l’ebraismo l’assenza è sempre traccia memore della presenza. Il marranesimo trovò invece il suo apogeo nella sola assenza (a cominciare dall’assenza senza gioia del digiuno). Forse per questo suo doloroso dibattersi nel buio quasi privo di tracce fu condannato alla sterilità fin quando i cripto-ebrei non riemersero finalmente alla luce fuori dalla loro Sefarad.
Donatella Di Cesare, filosofa