L’abbaglio di un nuovo presente


“Enter Ghost – Exit Ghost” è la didascalia che indica, nei drammi di Shakespeare Amleto, Macbeth e Giulio Cesare, le entrate in scena e le uscite di un personaggio defunto. Nell’Amleto la prima apparizione dello spettro agli occhi del pubblico, tanto fugace e silenziosa quanto terrorizzante, avviene nella gelida notte danese, davanti a Orazio, agli ufficiali e ai soldati di guardia al castello di Elsinore. E’ qualcosa di più che fantasia, immaginazione? (“something more than fantasy?”) si domandano. Figura prodigiosa e perturbante, lo spettro viene dal luogo da cui non si fa ritorno per diventare pagliuzza conficcata nell’occhio della mente, tragica rivelazione di verità e, al tempo stesso, smascheramento di quella menzogna e di quell’ipocrisia che covano nella società, nella storia, nel potere.
Il titolo originale dell’ultimo romanzo di Philip Roth, tradotto in italiano da Vincenzo Mantovani con il fantasma esce di scena, è, non a caso, Exit Ghost. Un palcoscenico vuoto con un sipario rosso in copertina. Qui il primo fantasma a entrare in scena è il personaggio di Nathan Zuckerman, protagonista di gran parte della narrativa di Rodi, da Lo scrittore fantasma (Einaudi, 2002) alla trilogia di Pastorale americana (Einaudi, 1998), Ho sposato un comunista (Einaudi, 2000) e La macchia umana (Einaudi, 2001). In Lo scrittore fantasma Nathan ha ventitré anni e incontra un vecchio romanziere, E. I. Lonoff, che si è ritirato dal mondo rifugiandosi sui monti del New England con la moglie Hope e una giovane studentessa, Amy Bellette. In Il fantasma esce di scena è Nathan che, settantunenne, dopo essere rimasto “nascosto” per undici anni in una casa nei boschi del New England dedicandosi soltanto alla scrittura, fuori da ogni comunicazione con il mondo, con la storia e con l’amore, torna a vivere “nel presente”, nella New York post 11 settembre. Ed è lui stesso un sopravvissuto, scampato a un tumore alla prostata, ridotto a una condizione quasi infantile alle prese con pannoloni e incontinenza. Anche Amy Bellette si riaffaccia sulla scena, ma non è più la donna affascinante incontrata da Natban nel 1956, quando stava per diventare l’amante di Lonoff; è una vecchia con il cranio mezzo rasato per un’operazione al cervello, inattendibile custode di una biografia sentimentale e intellettuale dello scrittore ormai scomparso, che uno spregiudicato giornalista, Richard Kliman, vuole rubarle per darla alle stampe.
Non è necessario avere letto gli altri romanzi di Rodi e non occorre conoscere la vita passata di Zuckertnan, di Amy Bellette o di Lonoff ftioii dalle tracce che dà il testo stesso, per apprezzare questo romanzo. Perché la sua bellezza consiste prima di tutto in uno di quei geniali cambiamenti di prospettiva che la letteratura propone rispetto alla vita e al mondo comune. In Everyman la scrittura si faceva tanto più intensa e appassionante quanto più la vita scorreva davanti agli occhi del personaggio (e del lettore) attraverso il punto di vista della morte, del buio, nell’abbandono ad amori sorpresi da lontano, al “sole cocente”, alla “luce dardeggiante da un mare sempre in moto», all’”odore di acqua salata”, al mondo intero colto come su una mappa geografica di internet: il “pianeta Terra da un miliardo, un miliardo di miliardi, un quadrilione di carati”. in Il fantasma esce di scena, la particolare prospettiva permette al lettore di guardare il mondo con la nostalgia di chi l’ha lasciato, ma con la sorpresa euforica di esserci ancora dentro; con l’abbaglio di un nuovo presente, ma con la consapevolezza di non poterci più entrare fino in fondo, di non poterlo più gustare né piangere davvero.
Il punto di partenza è quello che anima le prime pagine cli Linea d’ombra di Joseph Conrad, più volte citato nel romanzo, e da recuperare per intero: “Soltanto i giovani hanno momenti del genere (…) Momenti di avventatezza (…) Era scesa su di me la malattia della giovinezza, trascinandomi via”. Queste parole si adattano perfettamente alla storia cli Nathan Zuckerman. Dopo quello che si annuncia come un nuovo, prodigioso intervento alla prostata (ma che in realtà non lo è), con la memoria vacillante, ancora in- continente e impotente, lo scrittore si ritrova a fronteggiare nella maniera più imprevista e imprevedibile le tre cose che gli stanno più a cuore: la storia politica e sociale dell’America, l’amore, la letteratura. Deciso a scambiare la propria casa del New England con qualcuno che gli ceda un appartamento a New York per almeno un anno, Zuckerman incontra una coppia di giovani scrittori, Billy e Jamie, intenzionati allo scambio. Jamie ha paura del terrorìsmo e vuole fuggire da New York. Sono i giorni della seconda vittoria di Bush, nel 2004, e la donna, una trentenne dai capelli neri e dal corpo sinuoso, diventa per Zuckerman il pretesto per sviscerare i problemi dell’America, i disastri del terrorismo, l’ignoranza e le menzogne politiche, le “ambigue favole” da cui il personaggio si era tenuto lontano. Non solo, ma Jamie risveglia in lui un paradossale sentimento amoroso, “una forte attrazione gravitazionale su Il fantasma del mio desiderio”. E se l’impotenza, secondo una metafora che implicitamente percorre tutto il romanzo, si traduce in un blocco della comunicazione, allora ecco che la soluzione viene dalla letteratura. I dialoghi tra Nathan e Jamie rivivono trasformati e sfasati in un dialogo teatrale fittizio in cui una lei e un “lui” si corteggiano e si conoscono dandosi un addio tra i più originali (la promessa della “follia” che segue all’attraversamento della linea d’ombra, della giovìnezza, della maturità, della vecchiaia, il bagno nell’acqua color caffelatte dei bayous di Huston…). La parola teatrale diventa così la forma alternativa (quella del sogno, dell’immaginazione, della poesia) al linguaggio della quotidianità, della vita, all’empasse reale e simbolico dell’impotenza.
Questo gioco di prospettive, di rimandi e di doppi, rende il testo più complicato e più affascinante al tempo stesso, nel «miscuglio di comicità e cupezza” con cui arriva al lettore (come a Nathan arrivano le pagine di Lonoff). Il romanzo diventa così anche una presa di posizione contro l’impoverimento culturale e letterario che circonda il mondo autoreferenziale del testo stesso. Contro quelle storpiature della critica e del giornalismo che riconducono qualsiasi testo a forzato biografismo. La ribellione si coglie non solo dalla storia di Nathan Zuckerman, ma dalle parole di Pimy Bellette e dalla voce delirante del suo stesso tumore. La donna scrive una feroce lettera al direttore del “Times”, dove ammette che la letteratura è “fastidiosa” non meno dello spettro di Amleto. E che per questo, forse, è in procinto di sparire, o meglio, di perdere la propria [unzione di vitale disturbo: “C’è stato un tempo in cui le persone intelligenti usavano la letteratura per pensare. Quel tempo sta per finire (…) Oggi in America è la letteratura che è stata espulsa come seria influenza sul modo in cui la vita è percepita (…) Immaginazione? Non c’è immaginazione”. Letteratura? Non c’è letteratura.
La letteratura non è quel fantasma, “something more than fantasy”? Che cosa significa vivere, se non “forgiare una vita”? Rodi non cita mai direttamente Shakespeare, ma Eliot, i versi di Liule Gidding in cui il poeta, camminando per la strada prima dell’alba, incontra uno spettro che gli dà una profezia sul suo doloroso futuro, “Perché le parole dell’anno scorso appartengono alla lingua dell’anno scorso / E quelle dell’anno venturo aspettano un’altra voce».
Come lo spettro cli Amleto, la letteratura finisce per restare chiusa tra due didascalie: “Enter Ghost – Exit Ghost”. Come il vecchio re defunto al figlio che porta il suo stesso nome, però, la sua apparizione ci serve a prendere coscienza di noi stessi, della nostra identità, a rappresentare lo spettacolo del mondo. Anche quando si pensa, come Nathan Zuckerman, che «il dramma della scoperta di se stessi» sia già «finito da un pezzo”.

Chiara Lombardi – L’Indice – gennaio 2009

Il Fantasma esce di scena ed. orig. 2007, trad. dall’inglese di Vincenzo Mantovani, pp. 226, 19 euro, Einaudi, Torino 2008