A occhi chiusi

E’ vero che l’espansione degli insediamenti corrisponde alla strada dell’inconciliabilità e che una parte di Israele più maccabea dei maccabei si è potuta incarnare in questa maggioranza, e che da quello che si vede tale parte non si cura di far sorgere nella vicina nazione palestinese un epos di pace, o almeno un’incertezza – tale parte di Israele attinge le idee, o quello che si manifesta con la pretesa di apparire come idee, da una visione neo-biblica della geografia della regione. Così facendo, lascia ai propri figli l’eredità di un mondo dove la terra ebraica appare familiarmente un ghetto assediato. Ma oltre a quelli che secondo noi sono effettivi errori imputabili all’attuale governo israeliano, sarebbero da vedere le intenzioni profonde dei vicini dello Stato ebraico. E allora, bisognerebbe che nel pollaio mediatico calasse il raro silenzio della riflessione e ci si astenesse dallo starnazzio del gossip. Sarebbe necessario capire se nella nazione palestinese esista una prospettiva politica dissimile da quella offerta da Teheran: la distruzione di Israele. La domanda che gli esangui spettegolatori dei media dovrebbero farsi non è così difficile da formulare: esiste ancora un’autonoma aspirazione palestinese o quelli che oggi chiamiamo palestinesi non sono palestinesi, ma pura espressione delle aspirazioni politiche e geografiche di Teheran? La prospettiva di Gaza è forse quella di diventare una provincia iraniana con l’affaccio su altri mari? Ed è curioso il rinnovarsi di questo coro di proteste a senso unico, mentre sotto i nostri occhi chiusi qualcuno sta facendo le prove per un’altra geografia mondiale.

Il Tizio della Sera