Voci a confronto
Sono i giorni che precedono l’inizio delle trattative dirette tra israeliani e palestinesi che si riuniranno il prossimo 2 settembre in una cena organizzata alla Casa Bianca alla presenza anche di Mubarak e del giovane re giordano Abdullah II Al-Hussein; iniziano logicamente le pubblicazioni delle analisi che ci accompagneranno in tutti i prossimi giorni. Su Liberal l’ex ambasciatore USA all’ONU John Bolton fa una analisi che appare estremamente severa nei confronti del presidente Obama alla ricerca, prima di tutto, di consensi in vista delle prossime elezioni di midterm. Le possibilità di successo delle trattative sono minime, mentre alti sono i rischi: se falliscono, le conseguenze negative saranno enormi. E intanto Obama sperpera il prestigio degli Stati Uniti su una nave che sta per affondare, distogliendo al contempo le attenzioni dall’Iran che diventa sempre più la superpotenza regionale. Sullo stesso argomento troviamo due interessanti editoriali sul Wall Street Journal e sul Foglio; quest’ultimo illustra posizioni non molto dissimili in una analisi delle incognite che ruotano attorno ai numerosi problemi che oggi Netanyahu deve affrontare (confini dei due stati, blocco delle costruzioni, eventuali maggioranze di governo alternative, eventuali nuove elezioni). Il quadro appare davvero fosco, e non vengono neppure menzionati i nodi più difficili da sciogliere: Gerusalemme, ritorno dei profughi, accettazione da parte araba dell’esistenza dello Stato di Israele. La decisione del governo israeliano di rendere obbligatorio per tutti gli allievi lo studio dell’arabo, una delle due lingue ufficiali in Israele, viene riportata da numerose testate: Avvenire la accompagna alle proteste di alcune ONG per la mancanza di aule in certe zone, soprattutto a Gerusalemme Est, mentre il Mattino pubblica un articolo di Michele Giorgio che, col suo solito livore antiisraeliano scrive che oggi sono pochi i medici che parlano arabo negli ospedali frequentati da palestinesi. Impossibile per lui parlare, a tal proposito, dei tanti medici e infermieri arabi che lavorano a fianco degli ebrei nei diversi ospedali israeliani dove non si deve dichiarare la propria religione per essere ricoverati. “C’è del marcio in Norvegia” è il titolo di un editoriale apparso sul Foglio: continua il boicottaggio israeliano nella socialdemocrazia pacifista e multiculturale di Oslo. Non si contano le vignette (si menziona quella che raffigura Olmert come comandante di un lager) e lo scrittore ed eroe nazionale Gaarder, noto per il romanzo: Il mondo di Sofia, si augura la prossima distruzione di Israele; tutto questo succede con il sostegno della chiesa luterana. Nel momento dell’uscita dei combattenti americani dall’Iraq Toni Capuozzo rivive sul Foglio i sette anni, dal momento dello scoppio della guerra, con i tanti dubbi che l’hanno sempre accompagnata. Sull’Herald Tribune Avner Cohen e Miller Marvin pubblicano l’anticipazione di una ricerca che uscirà a breve su Foreign Affairs: se finalmente i dirigenti israeliani accettassero di ufficializzare il possesso della bomba nucleare e se ne liberassero, il mondo intero sarebbe pronto a bloccare davvero lo sviluppo della bomba iraniana. Ancora un’importante testata che mette sullo stesso piano la democrazia israeliana che vuole solo la sopravvivenza dei propri cittadini, e la teocrazia violenta e sanguinaria sciita che dichiara apertamente di volere la distruzione di Israele perché possa scendere sulla terra il Mahdi. Ancora personalità importanti della cultura che non capiscono che la storia, passata, recente e recentissima, ha insegnato agli israeliani che, purtroppo, devono fare affidamento solo su se stessi. La settimana scorsa, nella mia consueta rassegna stampa, a proposito di un altro articolo pubblicato sull’Herald Tribune, ebbi a scrivere che non conosco a fondo né la realtà del movimento islamico sufista, né la figura del suo leader Feisal Abdul Rauf, che figura tra i promotori del progetto per il nuovo centro islamico. Per i lettori interessati a saperne di più segnalo ora l’articolo pubblicato su La Stampa di giovedì 19 firmato da Francesco Semprini ed intitolato: L’Imam dei misteri a libro paga degli 007 americani. Purtroppo, anche in questo caso si deve riflettere a fondo su una certa attitudine di tanti personaggi a mistificare la realtà per raggiungere lo scopo voluto; attitudine che troppa gente, ancora oggi, non vuole comprendere. Sul Mattino l’archeologo italiano Emmanuel Anati si dimostra convinto, dopo oltre 30 anni di ricerche, di aver trovato le prove che il monte Har Karkom, che domina il Negev coi suoi 847 metri, sarebbe il vero Monte Sinai. Tra gli innumerevoli ritrovamenti archeologici, un santuario paleolitico e graffiti preneolitici provano che il monte era già sacro ben prima di quando lo avrebbe risalito Mosé; suo suocero Ietro gli disse infatti: vai a pascolare alla montagna di Dio, a dimostrazione di che cosa quel monte significava già allora. Su Avvenire, infine, desidero ricordare la breve col ricordo di Rav Elio Toaff del vescovo emerito di Livorno Abiondi, recentemente scomparso: è stato un grande combattente per il dialogo tra ebrei e cristiani, e come tale lo ricordiamo anche noi.
Emanuel Segre Amar