Cittadini della Memoria

Il museo di Yad Va-Shèm, il sacrario della memoria di Gerusalemme, recentemente ingrandito e ristrutturato, offre oggi al visitatore, al suo ingresso, un lungo filmato, che scorre ininterrottamente su un’ampia parete triangolare, svettante fino all’alto soffitto. Una grande carta topografica dell’Europa centrale e orientale degli anni ’30, recante l’indicazione di città, villaggi, fiumi e montagne di Polonia, Ungheria, Lituania, Estonia, Lettonia, Ucraina, Russia, si srotola lentamente, senza fine, sulla parete. Su di essa si stagliano, di volta in volta, brandelli di filmati dell’epoca: strade affollate di viandanti, contadini indaffarati nei campi, bambini che si rincorrono, signori con alti cappelli neri, carrozze trainate da cavalli bardati, scolaresche che salutano con la mano. Immagini che, dopo alcuni secondi, si dissolvono, nel nulla, così come si accendono e si spengono i suoni delle voci, le cantilene, lo scalpiccìo dei cavalli, il cigolìo delle ruote. Un continuo apparire e disapparire, senza fine. Una visione dura da reggere, anche per animi non particolarmente sensibili. La legge istitutiva dello Yad Va-Shèm, del 1953, attribuisce una ‘cittadinanza della memoria’ a tutti gli ebrei d’Europa sterminati durante la Shoah, attraverso un’estensione retroattiva della sovranità dello stato risorto. Una cittadinanza che non è ‘onoraria’ o ‘simbolica’, ma giuridicamente reale, effettiva, ancorché post mortem. Ciò, certamente, non rappresenta alcuna forma di ‘consolazione’ per le vittime, e neanche un elemento di ‘legittimazione’ per lo Stato di Israele (che, diversamente da come si suole dire, non è certo nato “per la Shoah”, ma “nonostante la Shoah”), né, tanto meno, una sorta di ‘compensazione storica’: i nuovi figli di Giobbe non prenderanno mai il posto dei primi. Si tratta, semplicemente, di un dato di fatto, scolpito in eterno nel cuore del Paese. Un legame di identità e continuità indistruttibile, che è ricordato dai versi di Uri Tzvi Greenberg (“we are them”, noi siamo loro), così come, con ben altro spirito, dai quotidiani attacchi degli antisionisti negazionisti, che, odiando ‘tutto’ Israele, non dimenticano i sei milioni di suoi cittadini che non hanno avuto la sorte di vedere la loro patria, e di trovarvi salvezza.

Francesco Lucrezi, storico