Voci a confronto

Solo pochi giorni or sono i massimi responsabili dell’esercito israeliano avevano compiuto un sopralluogo nella regione intorno a Hebron dove evidentemente temevano il ritorno degli attentati; la storia del MO ci insegna infatti che sempre, nel momento del dialogo, le forze che vi si oppongono si fanno sentire coi metodi più truci. E’ così anche questa volta, e forse non sarà che l’inizio di una nuove stagione l’attentato di ieri nel quale sono morti 4 ebrei che tornavano a casa, a Kiryat Arba, nella loro automobile; fermati dagli spari partiti da un’altra auto che li aveva affiancati, venivano poi trucidati, ad uno ad uno, in uno scenario tragico al quale purtroppo siamo abituati. Battistini sul Corriere descrive l’episodio, e ricorda che sono stati trovati in questi giorni a Gaza nuovi razzi in grado di colpire ben oltre Tel Aviv, nonché le armi che dal Sinai hanno colpito Eilat ed i suoi dintorni. Ma perché chiamare coloni i 500 ebrei che vivono a Hebron in mezzo a 100 mila arabi? Gli ebrei, non dei coloni, vivono a Hebron da sempre con una breve interruzione che c’è stata solo dopo gli eccidi del 29, e il termine colono non è davvero corretto per quei cittadini della città dove il “mausoleo” sacro agli ebrei è stato trasformato anche in moschea. Ma che questa sia l’attitudine sempre presente in Battistini è dimostrata ancora una volta dal fatto che non ha giudicato inopportuno ritornare sulle vicende passate del rabbino Kahane e dell’altro assassino Goldstein. Il minimo che si possa dire è che non ha scelto il momento giusto per ritornare su lontani e puntuali episodi, condannati anche da Israele (ma questo viene taciuto). Analogo ragionamento si può fare sugli articoli che trattano lo stesso delitto (rivendicato dalle brigate Al Qassam, vicine ad Hamas) che sono pubblicati da La Stampa a firma p.dm, e da De Giovannangeli su l’Unità. Peggio, ancora molto peggio, hanno fatto altri quotidiani che si limitano a riportare questo episodio con una breve; così il Fatto quotidiano che, nelle poche righe dedicate, trova tuttavia modo di citare le parole di Barak: Israele esigerà un prezzo. Coloro che sono a priori schierati non sono evidentemente liberi di denunciare e di condannare quelli ai quali sono, evidentemente, vicini, sempre e comunque. Che l’eccidio si colleghi direttamente alla prossima apertura dei colloqui di Washington è assolutamente chiaro per tutti, e attenta è l’analisi sul Foglio in un editoriale pubblicato in prima pagina. Ritroviamo tutti i problemi che si presentano al tavolo dei negoziati, ed anche la notizia degli incontri segreti avuti in questi giorni dal ministro Ehud Barak con Abu Mazen e col re Abdullah II. Ora si inizierà con una cena, al termine di una giornata di ramadan, alla quale sono invitati anche il rais Mubarak (in fin di vita, pare, ed accompagnato dal figlio Gamal) e lo stesso re di Giordania. Unico rimprovero a questo editoriale è l’aver presentato come perfettamente integrati nel regno Hascemita i profughi palestinesi: recenti episodi sui quali bisognerebbe ritornare dimostrano l’esatto contrario. Il Sole 24 Ore pone tre domande a diverse persone più o meno note, ma quasi tutte riconducibili a un ben preciso indirizzo politico: Lucio Caracciolo, Younis Tawfik, il generale Fabio Mini, Farian Sabahi e Massimo Teodori; i quesiti vertono sull’Iran, sull’Afghanistan e sulle prossime trattative di Washington. Interessante comunque leggere le varie risposte. Sulla Stampa Maurizio Molinari parla della giornata di ieri di Obama, col ritiro delle truppe combattenti dall’Iraq e la telefonata all’ex presidente Bush, nonché le dichiarazioni di maggiore attenzione alle questioni economiche. Molto spazio è dato anche alle dichiarazioni di alcuni esponenti repubblicani che rimproverano Obama di appropriarsi dei meriti altrui nei (rari) successi degli USA, dopo aver sempre ostacolato i provvedimenti che li hanno resi possibili (come il surge). Su Avvenire Geninazzi riferisce dell’annuncio della fine della guerra in Iraq fatto con toni poco trionfalistici (a differenza delle parole usate a suo tempo da Bush, in modo poco avveduto); 5 mila i morti americani, oltre a 150 mila gli iracheni, ma i conflitti tra sunniti e sciiti non sono risolti, e la sorte dei cristiani è in grave pericolo. Ora gli USA si devono concentrare sull’Afghanistan, e al contempo dovranno cercare dei risultati nelle trattative tra israeliani e palestinesi che rischiano di trasformarsi, per Obama, in un micidiale boomerang. Alba nuova è il nome affibbiato dagli americani al ritiro: di una nuova alba avrà bisogno l’appannato presidente americano, scrive ancora Geninazzi. Ancora su Avvenire Elena Molinari intervista l’ex ispettore ONU Duelfek che parla delle errate valutazioni americane che portarono alla guerra contro Saddam, ma al contempo ricorda la situazione del 2001 quando le sanzioni, lungi dall’indebolirlo, gli permisero di sfruttare nuove possibilità per portare avanti la sua politica insensata (ma del tutto insensata? ndr). Pintozzi su Liberal riporta le parole del premier iracheno al Maliki, tese a tranquillizzare tutti, mentre al contrario l’opposizione irachena trae linfa vitale dal ritiro USA provocato, secondo il suo portavoce, appunto dalla presenza del terrorismo sunnita vincente. E in altro articolo di Liberal Arpino parla del generale Petraeus che, dopo aver capito che cosa vuole la politica, si prepara ad abbandonare anche l’Afghanistan ricorrendo a strategie che dovranno essere ben diverse da quelle del generale Westmoreland (con riferimento al noto elicottero salva tutti). Numerosi articoli hanno parlato oggi della visita di Gheddafi a Roma: m.a.c. Sul Corriere riporta le parole dell’Avvenire e l’intervista a padre Samir che prevede un’Europa, nel 2050, per 1/4 islamica. Le parole di Gheddafi sono preoccupanti, ma non sono da vedere come una boutade, mentre il TG pubblico si mostra incredibilmente servizievole, e con l’Osservatore Romano preferisce, almeno per il momento, parlare d’altro. Su la Stampa Deaglio fa un’attenta analisi delle cifre in gioco per concludere che i 5 miliardi chiesti da Gheddafi all’Europa per frenare l’invasione africana (e non parliamo dei mezzi utilizzati per frenarla…) appaiono del tutto ragionevoli. Comunque il problema dell’Africa sarà, negli anni a venire, sempre più grande; a fronte di pochi calciatori che sfondano tra di noi, che succederà di tutti gli altri miserabili? Ancora da citare, in questa giornata densa di articoli (e mi scuso di non parlare della stampa estera) il Foglio che riprende il viaggio di G.K. Chesterton, scrittore inglese, che, nei suoi viaggi colse la differenza tra islam e cristianesimo, numerosi articoli sul dirigente della Bundesbank Sarrazin (il Foglio gli ricorda che si potrebbe sostenere che i tedeschi condividano il germe della discriminazione razziale). Chiudo questa rassegna citando ancora il Corriere dove Caccia ci racconta tante storie di italiani espulsi dalla Libia dove non potranno, di sicuro, ritornare.

Emanuel Segre Amar