Qui Venezia – Obiettivo puntato su Darren Aronofsky
Darren Aronofsky è considerato oggi dalla stampa mondiale uno dei più talentuosi e innovativi registi dei nostri tempi, e pensare che un tempo era un semplice ragazzino ebreo di Brooklyn, affascinato dal mondo del cinema e curioso osservatore dell’uomo e dei suoi comportamenti. Dopo la scuola superiore, frequenta l’università di Harvard dove studia antropologia e cinematografia sia tradizionale che d’animazione. Nel 1996 Aronofsky inizia a raccogliere le idee per il film Pi – il teorema del delirio, pellicola in bianco e nero autoprodotta con 60 mila dollari raccolti tra amici e parenti e caratterizzata da una forte sfumatura ossessiva e paranoica.
La pellicola racconta la storia di Maximillian Cohen, matematico geniale quanto eccentrico, affetto da continue emicranie causate da un’acuta fotosensibilità. Costretto a fare uso massiccio di pillole per ridurre i dolori Maximillian conduce una vita solitaria, recluso nel suo appartamento-laboratorio. Gli unici principi che regolano la sua vita sono la matematica è il linguaggio della natura, egli crede fermamente che ogni cosa esistente possa essere spiegata e rappresentata attraverso numeri e che tali numeri, se analizzati a fondo, siano riconducibili a schemi ricorrenti. Sulla base di tali principi, Max cerca di ottenere uno schema che gli permetta di predire le quotazioni in borsa e nel suo percorso di ricerca entra in contatto con un ebreo ortodosso che gli spiega come ad ogni lettera dell’alfabeto ebraico corrisponda un numero: a questo punto il misticismo cabalistico e le credenze ebraiche si fondono con ciò che Max, ebreo egli stesso, ritiene puro e razionale.
Un giorno durante una sessione di calcolo il suo computer si guasta irreparabilmente riuscendo però a stampare su un foglio una sequenza numerica di 216 cifre. Max parla allora con l’unica persona su cui può contare, Sol, amico di vecchia data e matematico, che gli spiega di essersi già imbattuto in un caso del genere quando da giovane faceva ricerche sul pi greco; tuttavia il suo consiglio è di desistere da ulteriori ricerche, perché salvaguardare la propria sanità mentale messa a rischio da tali elucubrazioni. Ma quella sequenza apparentemente senza senso, acquisisce un’importanza essenziale per un gruppo di ebrei ortodossi: essi la considerano infatti la traslitterazione numerica del vero nome di Dio un segreto sacerdotale andato perduto in seguito alla distruzione romana del Tempio di Gerusalemme. Il film partecipa al Sundance Film Festival nel 1998 riscontrando un buon successo di critica e di pubblico e Aronofsky viene premiato con l’Independent Spirit Award per la miglior sceneggiatura d’esordio, ricevendo un finanziamento di 1 milione di dollari che sarà il trampolino di lancio per la produzione del suo film successivo “Requiem for a Dream” ben accolto al Festival di Cannes nel 2000.
Una carriera, quella di Aronofsky, caratterizzata da grandi successi, come il Leone d’oro nel 2008 a Venezia con il film “The wrestler”, e da pellicole riuscite a metà, come The Fountain – L’albero della vita con Hugh Jackman, il suo lavoro più ambizioso, caratterizzato da una lunga e tribolata gestazione (2001-2006).
The Fountain racconta le vicende di Thomas Creo, in tre storie distanti cinque secoli l’una dall’altra. Il protagonista sarà rispettivamente un conquistador, uno scienziato e un astronauta, impegnato nell’eterna lotta contro la morte per salvare la donna amata, Isabel. Tre storie, un personaggio e un solo amore per tre periodi temporali che confluiranno davanti all’Albero della Vita, una pianta leggendaria la cui linfa dona a chi la beve la vita eterna. La ricerca dell’immortalità diventa così una corsa contro il tempo per salvare il proprio amore, ma è la morte l’unica via che Thomas capisce essere percorribile per ricongiungersi infine all’amata.
Dopo innumerevoli vicissitudini, defezioni nel cast e riduzione del budget, finalmente nel 2006 Aronofsky porta a completamento The Fountain – L’albero della vita che però non incontra totalmente i piaceri della critica che lo giudica un film troppo onirico, allucinatorio, dalla trama criptica e oscura. Un giudizio che all’apparir del vero risulta poi in linea con gli intendimenti originari del registra.
Gli elementi caratteristici del film, l’albero della vita e la fontana dell’eterna giovinezza, prendono spunto dall’immaginario culturale e mitologico di popoli e religioni diverse: dalla cultura Maya, al culto wicca, alla creazione nell’antico testamento. Il film inizia così con una parafrasi della Genesi 3:24, il passo della caduta dell’uomo, il momento in cui Adamo ed Eva, mangiando dall’albero del bene e del male, trasferiscono per sempre questo dualismo estremo ad ogni ambito dell’esistenza umana: vita e morte, povertà e ricchezza, dolore e piacere. Aronofsky pone però l’attenzione sull’aspetto positivo della vicenda affermando che se veramente Adamo ed Eva avessero attinto dall’albero della vita invece che dall’albero della conoscenza, nulla avrebbe distinto le umane genti dal creatore. Ciò che rende speciale l’uomo in fin dei conti è la sua mortalità, la consapevolezza di dover vivere appieno ogni istante affinché esso non risulti vano.
Michael Calimani