Così nasce un rabbino
Il Collegio rabbinico italiano (Cri) è la più importante istituzione in Italia che prepara personale rabbinico. Fondato nel 1829 a Padova, dove ebbe fra i suoi docenti più famosi Samuel David Luzzatto, fu poi trasferito a Roma e quindi a Firenze (sotto la direzione di rav Shmuel Zvi Margulies) per poi tornare di nuovo nella Capitale. Nella seconda metà del ‘900 il Cri è stato diretto da rav Toaff e, negli ultimi anni, da rav Laras.
Dal 1999 è diretto da rav Riccardo Di Segni e da due anni le mansioni di coordinatore sono affidate a rav Gianfranco Di Segni che in quest’intervista ci illustra i contenuti e l’organizzazione di questa storica realtà.
Rav Gianfranco Di Segni, cosa propone il Collegio rabbinico agli studenti?
Il Cri è diviso in diversi corsi: quello medio che conduce al titolo di maskil, il primo titolo rabbinico e quello superiore, che permette il conseguimento del titolo di chakham (rabbino maggiore). Vi sono poi il seminario Almagià, che ha la funzione di preparare insegnanti di materie ebraiche per le scuole elementari; il corso di “bagrut”, un corso innovativo introdotto negli ultimi anni che ha lo scopo di fornire alle ragazze un titolo equivalente a quello di maskil (è coordinato dalla morà Rahel Levi). Vi è infine il corso di laurea in Studi ebraici attualmente coordinato dal professor Enzo Campelli. Cosa si studia nei diversi corsi? Il corso medio inizia idealmente in concomitanza con gli studi nella scuola media inferiore e dura otto anni, così che insieme alla maturità liceale si possa conseguire anche il titolo di maskil. Di fatto, le condizioni di vita e di studio della società ebraica italiana sono oggi mutate rispetto al passato e molti allievi iniziano a frequentare il Collegio più tardi oppure gli studi per il titolo di maskil si protraggono più del minimo. Il programma di studio per il titolo di maskil prevede principalmente una conoscenza della Torah e del resto della Bibbia con i commenti più importanti (Rashì, Ramban, Radaq), della Mishnà con il commento di Bertinoro, della Halakhàh e della Tefillah, nonché conoscenze di base del Talmud, della storia ebraica e del Midrash. Fondamentale è l’acquisizione della padronanza della lingua ebraica, affinché si possano non solo leggere testi in ebraico ma anche seguire lezioni in ebraico.
Quali sono le materie di studio nel corso superiore?
Il corso superiore dura almeno quatto anni ma ormai da diverso tempo gli anni di studio sono notevolmente aumentati fino a sei, sette anni e anche più. Come anche per gli studi medi, non è tanto importante il numero di anni di studio quanto l’acquisizione delle necessarie conoscenze e competenze. Nel corso superiore si richiede una padronanza assoluta del Talmud e dei suoi commenti, dei testi fondamentali della Halakhah, fra cui il Mishnè Torà del Maimonide, il Bet Yosef e lo Shulchan Arukh di Rabbi Yosef Caro con i relativi apparati di supporto e di commento, e della vastissima letteratura delle she’elot utshuvot (responsi rabbinici), dai tempi antichi fino ai contemporanei. Oltre a ciò, si studiano in modo approfondito i libri biblici principali e vari testi della letteratura post biblica, sia di natura midrashica che filosofica. Chi sono i docenti? Oltre ai rabbini italiani e a docenti di lingua ebraica (in genere di madrelingua), da quasi vent’anni abbiamo una presenza regolare di rabbini e dayanim da Israele (dayan è un titolo rabbinico superiore a quello di Rav, che abilita alla funzione di “giudice”). In realtà non è una novità: insegnanti non italiani, da Israele o dall’Europa, c’erano anche in passato. La differenza è che mentre prima gli shelichim si trasferivano, spesso con la famiglia, ora vengono in Italia solo per alcune settimane alternandosi fra di loro o alternando periodi a Roma con periodi in Israele. Il motivo è che è diventato impossibile, oltre che molto più costoso, trovare qualcuno che si trasferisca a Roma per un anno intero. Lo svantaggio, però, è un insegnamento non continuativo.
Quanti studenti ci sono nei diversi corsi?
Calcolando tutti gli studenti, dalla scuola media fino agli adulti, abbiamo quest’anno 115 allievi. L ‘anno scorso erano invece 97. Ciò non significa però che tutti gli allievi seguono tutti i corsi. Molti, soprattutto fra gli adulti (circa una trentina), seguono solo uno o due corsi a settimana. Gli studenti delle medie e del liceo (complessivamente circa 50) seguono la maggior parte delle ore del Collegio nella scuola stessa e in orario scolastico, in un’aula apposita attigua al Tempio della scuola. Questo è un esperimento iniziato alcuni anni fa, in collaborazione con il preside rav Benedetto Carucci-Viterbi e rav Ariel Di Porto, che presenta vantaggi e svantaggi. Questi ultimi consistono nel fatto che negli allievi si perde in parte la consapevolezza di seguire gli studi del collegio, e non è molto chiara a loro (né ai loro compagni) la differenza fra le ore di collegio e quelle di cultura e lingua ebraica che tutta la scuola segue. I vantaggi sono che in questo modo si riesce a coinvolgere molti più studenti di quanti sarebbe possibile se il collegio fosse aperto solo il pomeriggio dei giorni feriali e la mattina della domenica, com’era una volta.
Gli studenti sono tutti romani?
La maggior parte sì, ma abbiamo nove studenti fuori sede, di origine romana e non, a Milano, Gerusalemme, New York e altre città. Per loro e per gli uditori interessati di altre città abbiamo attivato un servizio di lezioni trasmesse in tempo reale attraverso skype o fastweb. Numerose lezioni sono poi videoregistrate e si possono scaricare dal sito www.moked.it, previa iscrizione gratuita. Quanti degli allievi vogliono seguire la carriera rabbinica? Questo è il punto apparentemente dolente, anche se non sorprendente. Oggi al corso superiore abbiamo sei studenti (tra cui uno fuori sede), di cui tre o quattro presumibilmente hanno intenzione di svolgere mansioni rabbiniche, in una forma o nell’altra. Al corso medio, ci sono quattro o cinque allievi interessati a studiare per prendere il titolo di maskil. Fra gli studenti del liceo, alcuni allievi sono promettenti e pensiamo possano essere stimolati a ultimare gli studi. In complesso, la percentuale degli studenti che conseguiranno un titolo rabbinico è inferiore al 10 per cento. Ma già i nostri Maestri hanno affermato, commentando il versetto del Kohelet 7:28, che su mille allievi che affrontano gli studi biblici solo cento proseguono a studiare la Mishnà e 10 il Talmud, e soltanto uno arriva alla fine al titolo rabbinico (hora’à). Fra l’altro, queste cifre sono abbastanza vicine alla realtà esemplificata dal Collegio rabbinico italiano. Bisogna capire che la presenza di studenti che studiano per interesse culturale, non finalizzato a una professione rabbinica, non è un inciampo ma è essenziale. Innanzi tutto perché lo scopo del Collegio rabbinico è preparare dei “buoni ebrei”, come ha detto al Moked dell’anno scorso il professor Gavriel Levi. E lo si diventa studiando e conoscendo le fonti della cultura ebraica, anche se non “si fa il rabbino”. Poi perché bisogna creare un ambiente di studio attorno a coloro che sono intenzionati a intraprendere una carriera rabbinica. E’ impossibile fare lezioni a uno o due studenti soltanto, almeno per gli allievi in età di scuola media o liceo: lo studio deve essere anche un’occasione di crescita comune e di scambio di idee. L’UCEI deve quindi rendersi conto che avere un centinaio o più di studenti di cui meno di dieci arriveranno alla fine, è la norma e non è affatto uno spreco di risorse umane ed economiche.
Quanti studenti si sono laureati nell’ultima decina d’anni?
Dall’inizio della direzione di rav Riccardo Di Segni, nel 1999, abbiamo avuto l’assegnazione di otto titoli di maskil e cinque di Chakham. In media un po’ più di un titolo all’anno.
Sono previsti anche degli stage?
Sì. L’UCEI ha bandito delle borse di studio per studenti del collegio di età universitaria perchè vadano, durante l’anno scolastico, in altre Comunità d’Italia a svolgere attività varie. L’anno scorso abbiamo avuto tre borsisti mentre quest’anno ne abbiamo una sola. Gli studenti sono stati finora nelle comunità di Pisa, Ancona e Firenze: se altre Comunità sono interessate, ci contattino e saremo lieti di offrire collaborazione. Le attività dei borsisti sono coordinate da rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec, e dal suo staff. Inoltre, sia l’anno scorso che quest’anno abbiamo organizzato un periodo di due settimane di studio in yeshivah in Israele per circa dieci studenti. Il Collegio propone altre attività formative? Negli ultimi due anni sono stati organizzati otto fra seminari e convegni, con la partecipazione di numerosi rabbini provenienti da altre Comunità d’Italia e d’Europa. Fra gli argomenti affrontati, temi di tipo storico (il viaggio di Rabbi Moshè Basola in Israele nel 1500; i rotoli del Mar Morto), di tipo halakhico (le problematiche legate alle conversioni, alla kashrut, all’osservanza dello Shabbat in una società moderna) e le feste (Pesach, Rosh ha-Shana). Per l’inizio dell’anno accademico prossimo abbiamo in programma un seminario intensivo di storia con il rav Roberto Bonfil.
Un’ultima domanda: rabbini si nasce o si diventa?
Tutt’e due. Ci vuole sicuramente una predisposizione intellettiva e psicologica. Il “timor del Cielo” non lo si insegna e neppure si può insegnare la dedizione all’osservanza delle mitzvot (ma si può insegnare il modo corretto di osservarle, distinguendo fra ciò che è importante e ciò che è secondario, fra la legge e l’uso). Ci vuole anche una buona predisposizione allo studio. Ma poi bisogna impegnarsi e seguire gli studi in maniera continuativa e regolare. E si deve infine svolgere attività pratica sul campo, sia che si voglia condurre una Comunità sia ci si voglia dedicare all’insegnamento. Esperienze prolungate all’estero, prima di tutto in Israele ma anche in America o in Europa, sono importantissime, perché permettono di conoscere altra gente e altre problematiche e di impratichirsi delle lingue, sprovincializzando la cultura rabbinica italiana.
Pagine Ebraiche, agosto 2010