Voci a confronto

Nel 1934, nel momento dell’arresto di alcuni ebrei italiani antifascisti, numerosi altri ebrei si precipitarono a scrivere a Mussolini una lettera di solidarietà come ebrei italiani fascisti. Questo mi torna in mente dopo la lettura di quanto Benny Tsipper, responsabile della rubrica culturale di Haaretz, ha scritto alla vigilia di Rosh Hashana sul giornale Yäkinton (da Yäke, ebreo tedesco), a pochi mesi da quando la decana dei giornalisti americani Helen Thomas aveva dichiarato che gli ebrei israeliani devono tornare in Polonia, e in Germania. “Per salvare il popolo ebraico ed evitare che esso piombi in un regresso religioso e in un nazionalismo mosso da forze oscure, bisogna pensare molto seriamente ad un grande piano di trasferimento di israeliani laici verso Berlino, in modo che si crei un centro ebraico progressista alternativo allo Stato di Israele di oggi….Israele non riuscirà mai a diventare il centro spirituale del popolo ebraico, impregnato come è di materialismo e di sangue; bisogna dunque trovare un altro luogo, e Berlino sembra il più appropriato”. Questo scrive il direttore delle pagine culturali di Haaretz, ripeto. E bene gli ha risposto il professor Yehuda Bauer, insignito del “Premio Israel”, il quale, dopo essersi dichiarato scioccato e indignato, lo accusa giustamente di rafforzare tutti coloro che lottano attualmente contro di noi. Esattamente come facevano, nel 1934 gli ebrei italiani fascisti, fondatori del giornale “La nostra bandiera” (i quali, sia detto a puro titolo di cronaca e senza alcun compiacimento, furono tra i primi ad essere spazzati via quando, in seguito all’8 settembre, la furia nazista si abbatté sull’Italia). Oggi questo è, scrive Bauer, del puro fascismo, dal momento che esiste del fascismo di sinistra. Io sono assolutamente fautore della libertà di opinione, ma credo che le posizioni di Benny Tsipper, come quelle sostenute da Uri Avneri, direttore di Gush Shalom, da Yariv Oppenheimer, segretario generale di Shalom Akhshav, e da tanti altri, anche fuori da Israele, Italia compresa, vadano valutate con la massima attenzione per le pesanti ripercussioni che potranno avere per tutto il mondo occidentale. A dimostrare che la situazione di quegli anni non così lontani si sta ricreando in occidente giungono le parole chiarissime di Meotti sul Foglio che invito tutti a leggere; inizia Meotti col ricordare quanto detto dal commissario europeo De Gucht: “nella maggior parte degli ebrei c’è “fede” nell’aver ragione”, e, come questo commissario europeo (che sicuramente, per la commissaria Ashton, non intendeva offendere nessuno), si sono espressi in modo del tutto vergognoso e inaccettabile tante altre “autorità”; tra queste l’ex ambasciatore francese a Londra, signor Bernard, che definisce “Israele: quel piccolo stato di merda” (e bisognerebbe aggiungere che già uno dei padri dell’Europa, il nostro Spinelli, ebbe a definire così, durante un colloquio privato, Israele); dopo tante illuminanti citazioni Meotti fa osservare che l’antica sinagoga di Weesp deve chiudere durante le giornate di shabbat per “motivi di sicurezza”. E’ certamente da ringraziare Fiamma Nirenstein che ha organizzato a Roma la maratona del prossimo 7 ottobre, con la partecipazione di importanti personalità italiane e straniere. A tre di queste, Aznar, Dore Gold e Trigano ha offerto oggi spazio il Foglio pubblicando, con le loro firme, tre diversi articoli che dovrebbero essere attentamente meditati da tutti, e in primo luogo da coloro che governano i paesi dell’occidente. La giornata di ieri ha visto, tra le altre cose, la nuova iniziativa dell’inviato USA Mitchell che deve trovare con israeliani e palestinesi il modo per far continuare i colloqui diretti (che comunque per almeno sette giorni, fino alla prossima riunione della Lega araba, non verranno interrotti); ma ieri si sono anche ascoltate le parole del ministro degli esteri Lieberman che sono oggi censurate da numerosi giornali (e che Netanyahu avrebbe dichiarato non essere state concordate col governo); tra i commenti osservo che Liberazione finge di non capire che quando si parla di “scambi di erritori” non si ha minimamente l’intenzione di “deportare popolazioni”. Anche Michele Giorgio, sul Manifesto, usa la parola “deportazione” quando si riferisce alla decisione, del tutto ovvia, di Israele di “espellere” (e quindi non di deportare) i pacifisti stranieri fermati su un catamarano mentre tentavano di rompere il blocco marittimo attorno a Gaza. Tra questi pacifisti vi erano anche numerosi ebrei, israeliani e non, schierati in modo netto contro le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi. Michele Giorgio ne parla con queste parole: “vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in amico”; verrebbe quindi da far osservare a Giorgio che purtroppo appare molto difficile trovare veri eroi in campo arabo, dove al contrario i veri eroi sono coloro che si fanno saltare in mezzo ai civili ebrei. Molto ottimista è, unico nel panorama odierno, il parere di Fabio Ghia su l’Opinione; sarebbe molto bello poterlo seguire nelle sue previsioni, ma ci piace comunque ricordare che la speranza è l’ultima a morire. Sul Figaro trova spazio una analisi delle diverse fasi della guerra dalla prima intifada ad oggi. Le parole del quotidiano francese ripetono tuttavia l’invenzione palestinese secondo la quale la seconda intifada sarebbe stata una reazione alla famosa passeggiata di Sharon sulla Spianata (che fu, al contrario, concordata con le autorità religiose islamiche); parimenti criticabile è l’articolo quando, dopo aver osservato che le varie fasi della lotta hanno portato voti alla destra israeliana, dimentica di dire che neppure l’allora primo ministro di sinistra Ehud Barak riuscì a trovare una via di sbocco verso la pace; e ancora è criticabile quando addebita le vituperate colonie alla destra israeliana, mentre furono pensate e sostenute da numerosi governi laburisti. Ma oggi il tiro al piattello rappresentato dal governo di destra di Netanyahu sembra essere diventato uno sport nazionale. Sul Corriere, rispondendo ad un quesito di un lettore circa l’alternativa tra stato unico e due stati, Romano si rifà al sogno di Hertz in Altneuland, ma dimentica di citare gli accordi di Londra del 1919, firmati da arabi ed ebrei, che avrebbero già dovuto portare alla nascita di due stati, uno arabo e uno ebraico, che avrebbero dovuto procedere insieme nella via della storia (e della rinascita di quelle terre desolate di quei tempi); Romano, in polemica con Morris, non vede, “tra gli ostacoli da superare, la natura degli arabi”, e omette, tra i gravi ostacoli che impediscono da sempre di trovare la pace, sia quelli posti un tempo dall’impero britannico, sia quelli, al momento per il sottoscritto invalicabili, posti dalle parole del sacro Corano. Alberto Simoni su La Stampa cita le corrette parole di Marazziti, della Comunità di Sant’Egidio: “demonizzare un paese rischia di essere controproducente”; peccato che poi si facciano gli esempi di tre paesi oggi demonizzati: Nigeria, Texas e Iran. Sembra troppo comodo dimenticare Israele, paese demonizzato più di tutti dal giorno della sua nascita. Parole che non si vorrebbero mai leggere le troviamo su altri due giornali: il filosofo torinese Vattimo dichiara che “Israele è il primo tra tutti gli stati terroristici”, e bene ha fatto il Giornale a citarlo; su Terra leggiamo Annalena di Giovanni che commenta le parole di Lieberman, sopra ricordate, in questi termini: vorrebbe, il ministro israeliano, “una pace fatta di arabi con gli arabi (ma non è proprio quello che vogliono i capi palestinesi, a partire dal moderato Abu Mazen che non vuole vedere ebrei neppure tra i soldati di una eventuale forza internazionale di pace, e che intanto non accetta ebrei neppure nelle sue diverse scuole e università? ndr) , con Israele consacrato ad una sola razza e religione” (sic).
Desidero infine far giungere, tramite questa pagina, le condoglianze mie personali e dei lettori della rassegna all’amico presidente Gattegna per la grave perdita di suo fratello.
Emanuel Segre Amar

29 settembre 2010