Noi e la Destra

Su Repubblica di ieri, Mario Pirani punta il dito su qualcosa che dovrebbe interessarci. Egli sottolinea come Silvio Berlusconi, dovendo fronteggiare la pesante contrapposizione con Gianfranco Fini, è in cerca di nuovi alleati. Cespugli, partitini regionali, scissionisti di micro-partiti. Il problema è che tra questi nuovi compagni di strada c’è la «Destra» guidata da Francesco Storace, movimento che si richiama esplicitamente ai valori del fascismo e che era stato bandito dal centro-destra proprio per volontà di Fini (com’è noto, in politica gli ex-amici sono i peggiori dei nemici).
É o non è preoccupante che il presidente del Consiglio accolga benevolmente, addirittura entusiasticamente, i camerati storaciani nella sua nuova maggioranza? Personalmente ritengo di sì. Anzi, penso che si tratti di una spia decisiva per comprendere il degrado della vita pubblica italiana: tutti presi dalla caccia al parlamentare in più, tutti impegnati a preparare la «madre di tutte le battaglie», cioè le elezioni anticipate, i politici del centro-destra non hanno tempo per leggere i blog che fanno riferimento alla Destra («negri, froci, giudei» eccetera eccetera), o per ascoltare i discorsi ardimentosi dei militanti. Mentre in Svezia il partito conservatore preferisce varare un governo di minoranza piuttosto che includere le forze razziste e xenofobe, e altrettanto, per esempio, accade in Germania e in Francia, qui da noi nessuno si scompone. Può essere che nessuno abbia niente da dire, ma l’impressione è che non ci sia stata nessuna riflessione in tal senso.
Infine, che fanno gli ebrei italiani? Apparentemente, aspettano di vedere il corso degli eventi. Mentre due anni fa dichiararono esplicitamente che Alemanno non avrebbe dovuto schierarsi al ballottaggio con Storace (il che poi è sostanzialmente avvenuto), oggi non si levano voci di protesta. Può essere che si tratti di un atteggiamento di prudenza, dovuto alla situazione politica mutevole. Può essere anche questione di un metodo che preferisce trattative riservate alle dichiarazioni pubbliche, spesso assai meno efficaci. Ma può trattarsi anche di una questione culturale, che ci interroga come ebrei della Diaspora: a un amico di Israele (così è percepito Berlusconi dalla maggioranza degli ebrei italiani) si perdona tutto. Pure avere frequentazioni politiche quantomeno discutibili.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas