Israele e noi – JStreet: polemiche sui finanziamenti di Soros

Pioggia di polemiche su JStreet, l’organizzazione ebraica americana di orientamento liberal che si contrappone all’American Israel public affairs commitee (Aipac), la lobby statunitense pro-Israele cui fanno riferimento gli ebrei conservatori. Il Washington Times, quotidiano vicino agli ambienti repubblicani, ha pubblicato un’inchiesta che dimostra che JStreet ha ottenuto, segretamente, un copioso finanziamento da parte del noto finanziere George Soros. Nell’anno fiscale 2008/2009 – scrive il Washington Times, il gigante della finanza mondiale avrebbe versato 245 mila dollari al movimento che si definisce sionista e pacifista.
Molti dei gruppi di interesse e di pressione, che sono l’ossatura della democrazia statunitense, vivono grazie al sostegno di donatori e sostenitori privati. Ciò che invece, nella cultura e nella prassi politica d’oltreoceano, si configura come un grave illecito, è la menzogna. “Jeremy Ben Ami, il direttore esecutivo di JStreet – attacca il quotidiano della capitale – ha mentito”: in un’intervista al periodico ebraico Moment egli avrebbe negato ogni coinvolgimento economico di Soros.
Il finanziere di origini ungheresi, infatti, è un personaggio scomodo, a molti inviso. Ha una lunga storia di prese di posizione anche radicali contro l’operato di Israele contro l’amministrazione Bush.
“La rimozione di George W. Bush dal suo incarico – dichiarò in un’intervista al Washington Post nel 2003 – è l’obiettivo principale della mia vita”. Tra i falchi americani, e anche nella comunità ebraica, i suoi critici sono numerosi: lo chiamano antisionista e antiamericanista.
George Soros è una figura poliedrica e controversa. È nato nel 1930 a Budapest da uno scrittore esperantista ebreo, Tivadar Schwartz. Laureato alla London School of Economics si è trasferito negli Stati Uniti, diventando uno dei maggiori pescecani di Wall Street.
Studioso di filosofia, in particolare di Karl Popper, suo insegnante negli anni londinesi, teorico della società aperta, Soros è impegnato nella difesa e nel sostegno di cause progressiste e antimperialiste.
Negli anni settanta ha iniziato la sua attività filantropica: ha pagato gli studi a molti giovani sudafricani di colore durante l’apartheid; ha appoggiato i movimenti dissidenti nella cortina di ferro: Solidarnosc, il sindacato polacco, Carta 77, l’iniziativa di dissenso cecoslovacca, la Rivoluzione delle rose in Georgia, molti gruppi antisovietici in Ucraina e Bielorussia: Soros è stato uno dei maggiori finanziatori della lotta ai regimi-satellite. È anche uno dei grandi sostenitori della campagna elettorale di Barck Obama.
Il suo patrimonio è stato stimato dalla rivista Forbes nel 2010: quattordici miliardi di dollari. Lui sostiene di impiegarlo per l’affermazione della società aperta di cui parla Popper, cui ha anche intitolato l’istituto di finanziamenti filantropici mediante cui compie le sue attività: il Open Society Institute, che ha sede nelle Antille olandesi.
Il leader di JStreet Jeremy Ben Ami, dopo le rivelazioni del Washington Times, ha dovuto fare un passo indietro. Ha ammesso pubblicamente di aver ricevuto tre donazioni di 250 mila dollari nel corso di tre anni da George Soros e dalla sua famiglia, per un totale di 750 mila dollari, pari al 7% dell’intero reddito di J Street per quel triennio, undici milioni di dollari. Si è detto fiero dell’appoggio del facoltoso filantropo, ribadendo la totale liceità di quelle transazioni. Ha chiesto infine “scusa per le sue, personali, dichiarazioni ambigue, che hanno creato un caso e distratto JStreet dal suo prezioso lavoro”. “Non c’è legge – chiosa però il leader delle colombe della comunità ebraica americana – per cui io sia tenuto a rivelare pubblicamente i nomi dei nostri sostenitori e l’entità delle loro donazioni (che, a causa della natura civile e no-profit di JStreet, sono esentasse, ndr)”. George Soros ha dichiarato che, pur sostenendo economicamente l’iniziativa di JStreet, non mette becco nel suo direttivo politico. “Non si capisce, dunque, quale ragion d’essere abbiano le critiche rivolteci – rilancia Ben Ami – se non un’astiosa contrapposizione ideologica nei nostri confronti, e la chiara volontà di delegittimarci al di fuori del merito del dibattito politico”.

Manuel Disegni