Silenzio assenso in Vaticano

Il carattere violentemente ostile e aggressivo, nei confronti di Israele e dell’intero popolo ebraico, del messaggio finale dell’assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi è già stato ampiamente denunciato, e l’unica cosa importante che resta da appurare è in che misura tali posizioni siano fatte proprie anche dalle alte gerarchie del Vaticano e dalla Chiesa nel suo complesso. Ma c’è una piccola frase, nel velenoso documento, che merita di essere sottolineata, e riguardo alla quale appare assolutamente necessaria una definitiva parola di chiarimento da parte della Santa Sede. Ci riferiamo al passaggio in cui il Sinodo afferma che, avendo il Nuovo Testamento superato il Primo, non ci sarebbe più una Terra Promessa per il popolo d’Israele, perché la “la Terra Promessa è tutta la terra”, e dunque “non vi è più un popolo eletto”. Che vogliono dire queste parole? Quali conseguenze si devono ricavare da esse?
Per rispondere, occorrerebbe innanzitutto chiarire se il Sinodo intendesse riferirsi essenzialmente al moderno Stato d’Israele, come patria del popolo ebraico tornato nella sua “Terra Promessa”, o piuttosto all’intera identità e storia del popolo ebraico, al suo lungo processo di affermazione, nazionale e spirituale, nel tempo e nello spazio.
Nel primo caso, il senso unico e inequivocabile del documento è che lo Stato di Israele non avrebbe più diritto di esistere, non sussistendo alcun diritto del popolo ebraico su quella terra. Le ragioni di questa delegittimazione, certamente, rappresenterebbero un’assoluta novità, dal punto di vista ecclesiastico, giacché mai e poi mai la Chiesa Cattolica, di fronte al fenomeno del sionismo, ha accettato l’idea della sovranità dello Stato di Israele come un diritto di ritorno alla “Terra Promessa”. A lungo, com’è noto, la posizione della Chiesa è stata di assoluta e intransigente contrarietà di fronte all’idea di una qualsiasi forma di sovranità politica del popolo ebraico, su qualsiasi pezzo di terra, in qualsiasi angolo del mondo, rimandando ogni discussione sul tema a dopo che gli ebrei avessero “riconosciuto Gesù” (il Cardinale Merry del Val, incaricato dal papa di trattare con Theodor Herzl, affermò, nel 1904: “finché gli ebrei negano la divinità di Cristo, noi non possiamo pronunciarci in loro favore”); e quando, finalmente, il 30 dicembre 1993, è stato firmato un accordo di reciproco riconoscimento tra Israele e Santa Sede, si è fatta molta attenzione a precisare che tale riconoscimento aveva una natura esclusivamente politica e diplomatica, senza alcuna connotazione e implicazione a livello teologico e religioso (come era già stato ufficialmente puntualizzato, in una nota del 1985, dalla Santa Sede: “l’ambito del dialogo religioso” deve restare “ben distinto dall’ambito politico”, e “l’esistenza dello Stato di Israele e delle sue scelte politiche non devono essere considerate in una prospettiva in sé stessa religiosa, ma nel loro riferimento ai comuni principi del diritto internazionale”).
Ma, al di là di questa evidente forzatura e manipolazione (anzi, proprio in ragione di essa), il messaggio resta chiarissimo: “avete perso il vostro diritto”.
Proprio per il linguaggio adoperato, di tipo più religioso che politico, però, appare più probabile che le parole del Sinodo non intendessero riferirsi al solo Stato di Israele, ma all’intero popolo ebraico. Ed è evidente, in questo caso, che esse rappresentano non già una correzione o una parziale ‘retromarcia’ rispetto al Concilio Vaticano II, ma una totale cancellazione di tutto quanto era stato raggiunto, dopo quasi duemila anni di odio e persecuzioni, con la Dichiarazione “Nostra Aetate” (che ricordava, nel 1965, che gli ebrei “rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento”). Il dono di Dio, secondo il Sinodo, è dunque stato revocato, il Nuovo Testamento non integra e completa l’Antico, ma lo sostituisce e cancella, l’ebraismo non è più la “santa radice” del cristianesimo, ma una gramigna da estirpare.
Ripetiamo: che ne pensa il Vaticano? Silenzio-assenso?

Francesco Lucrezi, storico

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