rituali…
Qualcuno dice che tra gli ingredienti del shemen hamishchà, l’olio dell’unzione prescritto in Shemot 30:22-33 per consacrare oggetti e persone (il gran sacerdote, il sacerdote militare, il re) ci fosse anche la cannabis, una droga oggi in voga e ovviamente discussa. Ma l’olio profumato si spalmava e si spruzzava, non si fumava… I millenni che ci separano dall’antica prescrizione biblica non consentono verifiche, anche perché le tradizioni rabbiniche sono scarne: il Talmud dice che quest’olio nel Secondo Tempio non era più disponibile e che praticamente l’unzione del tabernacolo e dei suoi oggetti fu fatta solo una volta da Mosè; l’olio però da qualche parte è rimasto (Shevuot 15a, Horayot 11 e 12). Sembrerebbero questioni di pura teoria, ma non è così. I telegiornali di ieri hanno mostrato il Papa compiere la cerimonia di dedicazione (in ebraico si direbbe. chinukh o chanukkà…) della Sagrada Familia di Barcellona versando e poi spalmando sull’altare dell’olio. In pratica la Chiesa riprende e continua dei modelli rituali prescritti nella Torah, che l’ebraismo non pratica da millenni, anche quando il Tempio funzionava e dei quali conserva solo un ricordo nostalgico e una speranza di ricostituzione. E’ lo strano paradosso del rapporto delle due religioni con le radici bibliche, dove chi ha abolito la legge continua a ispirarsi ad alcuni suoi riti (ma non a caso: il nome di cristiano richiama in greco l’unzione), mentre chi la legge la osserva non può mantenere alcuni riti perché tecnicamente impedito. Ovviamente non è solo questione di riti, è il problema fondamentale e attualissimo della continuità, della fedeltà, del rifiuto e della sostituzione.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma