Voci a confronto

In una giornata che, al momento in cui scrivo, sembra priva di importanti avvenimenti, il lettore si può concentrare nella lettura di articoli che permettono di meglio comprendere la direzione verso la quale andiamo tutti. Sul Corriere Bernard Henry Levy fa una ampia carrellata delle persecuzioni alle quali sono sottoposti i cristiani in Pakistan come in Iran, a Gaza come in Sudan, in Eritrea come in Egitto, in Algeria come in Irak, senza dimenticare altre simili realtà che  si verificano in Congo, a New Delhi, a Cuba, in Corea del Nord ed in Cina. Sono tutti questi dei paesi nei quali, scrive Levy, se sono meno numerosi che in passato gli attentati contro gli ebrei, lo si deve solo al fatto che di ebrei non ve ne sono quasi più. Queste accuse di Levy arrivano solo pochi giorni dopo la chiusura di un Sinodo nel quale le grida di allarme hanno trovato poco spazio, e per di più sono poi state soffocate da chi avrebbe dovuto, anche istituzionalmente, farle conoscere al mondo occidentale; credo che si debba, in questa situazione, ricordare quanto stava scritto sui muri della Basilica di Betlemme quando venne liberata dalla presenza-assedio dei guerriglieri palestinesi asserragliati al suo interno per oltre un mese: “Oggi quelli del sabato, domani quelli della domenica”. Era l’esternazione di un programma preciso, tenuto nascosta dai nostri media, che oggi si dimostra in tutta la sua tragica realtà. In un altro importante articolo pubblicato sul Foglio, Amy Rosenthal mette in risalto le contraddizioni, all’interno del mondo politico americano, tra coloro, come Richard Holbrooke, che, nell’amministrazione Obama ritengono che l’Iran sia parte della soluzione per risolvere i problemi del medio oriente, e coloro, come Douglas Feith, che, al contrario, considerano l’Iran parte del problema. Ma certamente oggi gli USA devono collaborare con un presidente Karzai, corrotto anche dai soldi iraniani, come col governo yemenita, entrambi “democraticamente” eletti. La posizione di Feith appare essere di grande realismo e merita quindi non soltanto di essere letta attentamente, ma anche diffusa. Tra gli avvenimenti del giorno si segnala, in primo luogo, la richiesta fatta da Netanyahu agli USA di confermare per scritto gli accordi presi con la Segreteria di Stato: tutte quelle promesse, cioè, che sarebbero state fatte dalla Clinton in cambio di un nuovo congelamento delle costruzioni in Giudea e Samaria (e forse anche a Gerusalemme est, anche se lì non ufficialmente). E’ difficile affermare se dietro a questa richiesta vi sia la preoccupazione di Netanyahu per “l’opposizione dei palestinesi ai successi di Israele insiti nel documento”, come sostiene l’Avvenire, o piuttosto la diffidenza verso un presidente Obama, sempre schierato in un modo che non può non preoccupare Israele, ma assente dagli USA durante la visita del premier israeliano. Mi si permetta poi, a titolo personale, di esprimere forti dubbi sulla possibilità che questa ulteriore moratoria possa, oggi, essere l’anticamera verso la pace. Il Sole 24 Ore riporta la netta opposizione della Turchia, membro a tutti gli effetti della NATO, all’installazione, sul proprio territorio, di radar difensivi contro eventuali attacchi provenienti dall’Iran contro l’Europa e contro Israele; la Turchia pretende di essere lei a controllare tali radar, e, parallelamente, rifiuta di ammettere che possano essere arma difensiva contro quell’Iran, oggi amico e stretto partner commerciale della Turchia rimodellata da Erdogan. Come in Italia, anche in Giordania le regole elettorali sono di attualità, a pochi giorni dal voto che, lo scorso 9 novembre, ha visto confermata la apparentemente tranquilla continuazione della politica attuale del regno hascemita. Ne parla diffusamente Le Monde in un articolo che mette comunque in evidenza la profonda inquietudine del re di fronte allo stallo delle trattative del Medio Oriente, nonché l’indifferenza a fronte di una corruzione dell’establishment, soprattutto militare; in parallelo una sapiente regia continua a privilegiare i voti delle zone rurali amiche a discapito di quelli delle città dove le posizioni più estremiste sono più radicate. Stella sul Corriere racconta tutta una serie di episodi di razzismo del popolo italiano che allo stadio si comporta in un determinato modo, e nella vita di tutti i giorni in modo opposto. Manca tuttavia nell’articolo (e forse anche nel libro che Stella recensisce) un’altra lunga serie di episodi di razzismo dei quali si occupò la cronaca, contro neri e contro ebrei, nati ed esplosi dentro i nostri stadi. Altra recensione troviamo sul Manifesto, ed anche in questa deve essere osservata una grave mancanza: non è corretto, oggi, parlare di antisemitismo limitandosi a descrivere quanto avvenne nell’Europa occidentale nazifascista, dimenticando quanto avvenne contro gli ebrei anche nell’URSS comunista. Questa voluta dimenticanza la dice lunga sulla posizione del quotidiano comunista. Su Rinascita, infine, va registrata una lunga intervista a Franco Cardini il quale, senza alcuna contestazione da parte della giornalista Fiorenza Licitra, si lancia in una durissima contestazione contro tutta la nostra “civiltà occidentale”, con una parallela assoluzione degli “altri”, degli avversari del mondo moderno. Che Noam Chomsky, Jean Ziegler, e Serge Latouche siano citati ed indicati come fari da seguire la dice lunga sul pensiero di un Cardini da tempo noto per queste sue posizioni.
Emanuel Segre Amar
17 novembre 2010