Israele, la demografia e la pace

Roma. “Dal Mediterraneo al Giordano, gli ebrei sono minoranza”. L’annuncio choc proviene dal più famoso demografo israeliano, Sergio Della Pergola, studioso di fama mondiale all’Università ebraica di Gerusalemme. Della Pergola è noto per aver introdotto il tema della demografia nell’analisi del conflitto israelo-palestinese. I giornali israeliani hanno dedicato alla sua ricerca ampi servizi di copertina. Un “pareggio demografico” tra ebrei e arabi su tutto il territorio dal Mediterraneo al Giordano era atteso per il 2015. “Ci siamo già”, fa sapere Della Pergola al Foglio. Un sondaggio del Ma’ariv rivela che per gli israeliani il problema demografico è “la minaccia”, quasi quanto i missili sulle rampe di lancio di Teheran. Della Pergola sottolinea che la popolazione ebraica d’Israele cresce poco, ma costantemente: 80 mila l’anno. Tuttavia non basta a pareggiare la demografia araba. “C’è una domanda che assilla Israele dalla guerra del 1967: quando verrà la data in cui gli ebrei non saranno più maggioranza su tutto il territorio? Con questo rapporto diciamo che è già successo. Gli ebrei sono oggi il 49,8 per cento fra il fiume Giordano e il Mediterraneo. Sarebbero appena il 50,8 se anche non considerassimo i lavoratori stranieri, che comunque sono persone vive che abitano da anni in Israele. Ciò che diciamo ha implicazioni politiche. Abbiamo studiato tutto quello che è ‘contenzioso’, scontro politico. Mettiamo insieme Israele, West Bank, Gaza, Gerusalemme est, il Golan, i 200 mila lavoratori stranieri, i non ebrei in Israele. Più di due milioni di palestinesi in Cisgiordania, 270 mila a Gerusalemme est, un milione e mezzo a Gaza; 1,2 milioni gli arabi cittadini d’Israele. Mettendo assieme Israele più l’entità autonoma palestinese, che sia governata da Hamas o da Fatah, emerge un quadro in cui gli ebrei sono diventati minoranza. E’ la prima volta”. Il professore considera tre parametri: ebraicità, democrazia, territorialità. Di questi parametri – la grande Israele, l’Israele ebraica e l’Israele democratica – se ne possono avere al massimo due: il grande stato ebraico, ma non democratico; la grande Israele democratica, ma non ebraica, oppure uno stato ebraico e democratico, ma non grande. Della Pergola spiega così l’impossibilità di uno stato binazionale unico di ebrei e arabi. “Chi parla di binazionalità è stupido o violento. Non si negano le identità nazionali. Guardiamo al Belgio, che si sta disgregando, o alla Cecoslovacchia. O al bagno di sangue in Jugoslavia; a Cipro greci e turchi si sono scissi su linee geografiche”.
Della Pergola non si fa illusioni ireniste: crede che il processo di pace debba concludersi col riconoscimento della natura ebraica di Israele. E questo potrà avvenire soltanto con la separazione fisica e politica di arabi ed ebrei. La proiezione demografica impone a Israele una scelta dolorosa: meno territori per garantire un futuro ebraico dello stato, come aveva capito nel 2005 Ariel Sharon. “Da mezzo secolo faccio il demografo. Senza soluzione politica, i dati che portiamo ci metterebbero di fronte a una situazione drammatica. Gli arabi aumentano sempre più, sia dentro a Israele, sia nei Territori palestinesi. Senza i Territori palestinesi, Israele avrebbe l’80 per cento di popolazione ebraica. Con i Territori palestinesi si scende al 50 per cento. Senza Gaza ma con la Cisgiordania, gli ebrei sono fra il 60 e il 62 per cento. Questo è oggi. Domani queste cifre andranno ridimensionate in modo inesorabile, togliendo uno o due punti assoluti per ogni decennio. Se teniamo il West Bank, fra circa un ventennio saremmo 54 a 46. E non avremo avuto certo altre ondate di emigrazione di massa come dall’Unione sovietica. Sopravviverà allora lo stato ebraico?”. Della Pergola sa bene tuttavia che, oltre ai suoi numeri, c’è anche un grave problema di sicurezza. “Oggi per atterrare a Tel Aviv l’aereo fa un gomito sopra i Territori palestinesi. Se Hamas governasse anche lì, con una fionda abbatterebbero un velivolo”.

Giulio Meotti, Il Foglio, 1 dicembre 2010