…referendum
Ugo Volli su questa colonna domenica scorsa stigmatizzava chi ha criticato la decisione della Knesset di istituire un referendum nel caso Israele decidesse di cedere territori attualmente in suo possesso in vista di un futuro possibile accordo di pace. Mi sono sembrati davvero ingenui i riferimenti alla costituzione norvegese o australiana, o al caso italiano delle scelte della repubblica e del divorzio, o magari alla tradizione elvetica delle assemblee di cantone. È chiaro che lo scopo della maggioranza della Knesset non era quello di trasformare l’agitata democrazia israeliana in un blando, nevoso, e forse noioso paese nordico. Lo scopo vero del voto della Knesset era di mettere ulteriori bastoni fra le ruote di Benyamin Netanyahu nel caso questi decidesse di seguire la strada di David Ben Gurion, Menahem Begin, Izhak Rabin e Ariel Sharon i quali, tutti, hanno accettato di ritirare la presenza di Israele da territori che erano in suo possesso. Ma il referendum popolare su questioni tanto delicate sarebbe un grave errore perché porterebbe il paese a un confronto frontale interno, laddove la mediazione della politica ha per lo meno il pregio di svolgersi all’interno delle istituzioni e non per le strade. Inoltre, anche se può essere spiacevole riconoscerlo, i recenti sondaggi di opinione dimostrano che una decisione popolare che passasse con il volto determinante degli elettori arabi non sarebbe considerata legittima e finirebbe con l’acuire le tensioni interne. E poi provi Volli a immaginarsi la controparte politica palestinese che si rivolge al suo pubblico e chiede il consenso popolare alle decisioni di vertice su una ipotetica pace con Israele. Resta da vedere se Bibi avrà la forza, la voglia, la capacità, o perfino la fortuna di trovarsi di fronte all’occasione storica dell’accordo politico, e di carpirla al volo nell’attimo fugace in cui gli passa davanti.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme