Davar Acher – Le nostre istituzioni e la percezione dei media
Anche se non sono un delegato e neppure un invitato al congresso dell’Ucei, non posso che dedicare oggi un paio di riflessioni a questo momento che è il più rilevante per le organizzazioni ebraiche italiane. Voglio partire da alcuni dati che avevo raccolto per un articolo per “Pagine Ebraiche” che poi non è arrivato alla pubblicazione. L’Ucei è chiaramente l’organismo rappresentativo di tutto l’ebraismo italiano, il più importante sul piano economico come su quello politico; ma quanto questa sua funzione è riconosciuta e compresa?
Per quanto riguarda gli atteggiamenti personali degli italiani e in particolare degli ebrei, è impossibile stabilirlo senza una ricerca sociologica, ma uno sfoglio dei media ci mostra che, nonostante la grande attività sui media degli ultimi due anni, almeno nella consapevolezza della stampa l’Ucei è decisamente sottovalutata, assai meno presente delle comunità. Sui circa 20 mila articoli censiti dalla rassegna stampa di questo sito, la voce “Ucei” troviamo solo 204 citazioni fra il 15 novembre 2009 e il 15 novembre 2010, mentre la voce “Unione delle comunità ebraiche italiane” ne raccoglie 293, circa l’1,5 per cento degli articoli. Le due voci non vanno però sommate, perché in gran parte si sovrappongono e per lo più compaiono come specificazioni della carica di una persona. Per esempio quella dell’avvocato Renzo Gattegna, che compare per nome in 291 articoli e col suo titolo di presidente dell’Ucei in 136 (anche in questo caso, naturalmente le due cifre non vanno sommate).
Impossibile non notare l’immensa sproporzione fra la presenza sulla stampa dell’ebraismo in generale e quella dell’Ucei, che è confermata anche col confronto con le citazioni delle comunità. Quella di Roma è la più nota, contando 1171 articoli su cui è presente (circa quattro volte l’Ucei; buona parte di queste citazioni sono connesse alla presenza sui media del presidente della Comunità, Riccardo Pacifici, che ne raccoglie da solo 743, o del rav Di Segni, che ne conta 903); segue a distanza (ma sempre sopra l’Ucei) Milano con 324 citazioni;poi Mantova con 138, Bologna con 120, Livorno con 118, Firenze con 111, e quindi Torino (82), Napoli (70) Ferrara (56) Bologna (46), Pisa (42), Verona (40), Genova (39), Trieste (33), Ancona (31), Padova (30), Modena (25), Casale (22) e tutte le altre. Le medie e piccole comunità tutte assieme ottengono una quantità di citazioni di poco inferiore a quella di Roma.
Naturalmente tutti questi dati dipendono da mille fattori, come l’attivismo dei giornali locali, eventuali crisi o gesti antisemiti, restauri, visite che fanno notizia in qualche sede. Resta il fatto che l’ebraismo italiano appare molto più percepito dalla stampa per via del suo aspetto generale e delle comunità che lo organizzano piuttosto che per le sue istituzioni centrali. Questo fatto si conferma considerando che il Consiglio dell’Ucei è nominato solo 37 volte (54 nella versione col nome completo), il congresso 5 volte, lo statuto 11 (ma quasi solo da interventi pubblicati da questo giornale). Non che le altre istituzioni ebraiche escano meglio da questo test: l’Unione dei giovani ebrei italiani (Ugei) si merita solo citazioni in 26 articoli, le due organizzazioni giovanili Bené Akiva e Hashomer Atzair non sono affatto citate, come il Bené Berit; Keren Kayemet e Keren Hayesod insieme arrivano a 38 citazioni; l’Agenzia ebraica arriva a 79 articoli (che è un quarto dell’Ucei).
Si potrebbe continuare con altre istituzioni e personaggi, o per esempio incrociando questi dati con le citazioni di Google (l’ho fatto, i risultati sono più o meno analoghi). Vale però la pena di concludere con una riflessione. L’ebraismo italiano è certamente sovraesposto sul piano comunicativo rispetto alle sue dimensioni, ma la sua organizzazione politica è meno percepita della sua presenza culturale, religiosa, storica. I nomi ricorrenti sulla stampa sono quelli di intellettuali, giornalisti, rabbini, presidenti impegnati nel dibattito pubblico, più che le istituzioni in quanto tali. Le realtà collettive abbastanza percepite sono le singole comunità, se vogliamo le sinagoghe delle nostre città. Mi sembra ragionevole che lo stesso risultato si troverebbe interrogando gli ebrei italiani: i molti cittadini di origini ebraiche lontani dalle comunità, ma anche probabilmente gli iscritti e perfino la minoranza attiva nella vita comunitaria e religiosa probabilmente percepiscono il loro ebraismo come un dato personale o storico o cosmico/religioso, non in relazione alle istituzioni politiche che lo organizzano. Nonostante le sue dimensioni molto limitate, l’ebraismo italiano soffre di un deficit di unità e di rappresentanza centrale, che non è soltanto mediatico ma politico, e quindi non è facilmente rimediabile neppure con i muovi media che l’Ucei si è data. Questo deficit di rappresentanza non è mancanza di legittimazione verso il mondo politico nazionale, anzi, è piuttosto storica dispersione (o autonomia) delle comunità e fiera indipendenza dei singoli ebrei. Ma è sperabile che il congresso capisca che esso è anche un problema in un mondo come quello in cui viviamo, in cui la rappresentazione mediatica è una forza materiale e politica.
Ugo Volli