Servizi, diritto d’osservanza e parità tra le religioni

Il decentramento amministrativo negli enti locali locali mira,in soldoni, a due obbiettivi essenziali rivolti alla popolazione di un territorio: a consentire a tutti l’accesso ai servizi senza doversi necessariamente spostare al centro e a coinvolgere più direttamente ciascuno nella gestione della vita del proprio territorio. Il termine è apparso nuovamente anche nel dibattito legato alle modalità di vita dell’UCEI e non disponendo noi di un territorio omogeneo, sparsi peraltro con forti e sproporzionate differenze in ventuno Comunità, forse sarebbe più opportuno parlare di ridislocazione di servizi che l’UCEI fornisce o potrà fornire (in ambito di gestione sul territorio, infatti, l’ampia autonomia prevista per le singole Comunità è già decentramento applicato). Rimane quindi da verificare, per realizzare concretamente questo pur condivisibile obiettivo, quali servizi possano essere dislocati altrove nel territorio ebraico italiano, quindi essenzialmente “deromanizzandoli”, senza detrimento della propria capacità di vita e di azione nei confronti della collettività ebraica nazionale.
Insomma, bella l’idea ma occorre poi che il servizio individuato possa trovare nella nuova sede terreno solido di base e idonee condizioni di vita per continuare a operare nell’interesse generale. Poiché però molti di questi servizi necessitano di un adeguato, anche in termini numerici, apporto umano appare oggettivamente complesso individuare settori di attività che possano discostarsi dai due grandi centri (tali nella relatività dei numeri italiani) e/o avere vita propria indipendentemente dal resto della macchina operativa. Più utile mi appare quindi cercare di sfruttare meglio le potenzialità che dai vari centri si esprimono per renderle fruibili anche alla periferia, dove non vi sarebbero le condizioni per una vita autonoma dei suddetti servizi. L’esempio può essere quello della proposta avanzata (ad oggi purtroppo con scarso interesse da parte dei possibili utilizzatori) per estendere a tutte le Comunità il servizio di carne kasher a prezzi calmierati, gli stessi praticati a Roma, cosa resa possibile dal fatto che quella carne può essere prodotta in virtù della potenzialità di quel centro. Dove già vige un decentramento naturale è invece l’ambito della vita quotidiana dell’ebreo nei confronti della società esterna, quindi nel lavoro, nello studio, nelle strutture pubbliche, nel doversi curare nella sanità pubblica, nell’ambito della vita militare e nel sistema carcerario, per elencare i principali esempi.
A questo riguardo spero che il Congresso 2010/5771 impegni il nuovo Consiglio a perseguire la riapertura dell’Intesa per ottenere un riadeguamento delle nostre condizioni d’accesso ai settori che ho citato prima: per essere chiaro vi sono dei problemi di applicazione del diritto all’osservanza del Sabato e delle feste nel lavoro (un ricorso è ad esempio pendente in proposito al Consiglio di Stato) e negli altri comparti. Mentre da cittadini contribuenti sovvenzioniamo tutti la presenza di operatori cattolici, il nostro accesso è condizionato e comunque senza oneri per le casse pubbliche.
Da liberale sarei favorevole, specialmente a fronte della corresponsione alle varie fedi dell’Otto per mille, a uno Stato che non impegna spesa corrente per la vita religiosa del cittadino. Ma poiché tale obiettivo mi appare quanto meno arduo oggi in Italia, che almeno non vi siano discriminazioni tra le varie religioni, peraltro in ossequio al dettato costituzionale. In una qualche maniera anche questo sarebbe un tangibile contributo alla laicità dello Stato che non vuol dire antireligiosità ma bensì, nel rispetto delle autonomie di ciascuno, pari trattamento.
La riapertura dell’Intesa per ottenere un nuovo quadro normativo potrebbe anche considerare l’opportunità di prevedere (come proporrò al Congresso sulla base di quanto già prevedono gli accordi tra Spagna e locale ebraismo) la kasherut quale certificazione della quale debba esssere garante in Italia l’UCEI. Si conferirebbe così all’Unione un ruolo primario in materia che difficilmente potrebbe essere eluso dai tanti che, ad oggi, operano in Italia saltando sistematicamente le istituzioni rappresentative dell’ebraismo italiano.

Gadi Polacco, consigliere UCEI, Pagine Ebraiche, dicembre 2010