Verso il cambiamento. A partire dalla tradizione

L’Unione delle Comunità ebraiche Italiane va dunque a congresso. Sarebbe impresa improba e, forse, anche inutile, riempire un cahier dei desideri da consegnare ai delegati, i quali avranno già di per sé il loro gran daffare su quelli che sono i temi di fondo per i quali sono stati scelti dagli elettori: la riforma dello Statuto, della quale si va dibattendo da tempo, confrontandosi tra posizioni estremamente articolate poiché è questa la costituzione che dovrà governare l’Unione, e di riflesso, i complessi rapporti con le comunità territoriali; il ruolo della medesima Unione che è senz’altro andato crescendo in questi ultimi anni, sia nei legami con le vivaci articolazioni comunitarie che, più in generale, con la società italiana; la raccolta e la ripartizione dell’Otto per mille, una fonte imprescindibile sia per le attività dell’UCEI che, in ricaduta, delle Comunità.
In quest’ultimo caso è noto come il numero di contribuenti che optano per l’UCEI, circa 60mila, costituisca ben più del doppio degli iscritti alle Comunità. Dovremmo interrogarci sul perché di queste scelte, anche se i volti (e quindi le motivazioni) di molti di costoro inevitabilmente ci sfuggono. Di certo, in un paese per la quasi totalità dei casi composto da persone di formazione cattolica, il rimando all’ebraismo indica la sincera attenzione, che a volte si fa caldo affetto, verso l’importanza storica di una minoranza che, come certo durante il Congresso si avrà modo di ribadire, ha concorso attivamente a fare l’Italia in non solo centocinquanta anni di storia ma nel corso di due millenni.
L’impressione, al riguardo, è che la già ragguardevole cifra di contribuenti potrebbe essere ulteriormente aumentata se la comunicazione riuscisse a raggiungere quanti costituiscono potenziali simpatizzanti senza che per questo riescano ancora a cogliere appieno la strategicità di una loro opzione fiscale. Peraltro inutile nascondersi dietro il dito: si può fare in base alle risorse che si hanno e si è anche in ragione di ciò che si ha.
Pagine Ebraiche, in tal senso, potrebbe contribuire in un futuro anche prossimo, trattandosi di una salutare finestra aperta sull’ebraismo italiano che ha ricevuto molteplici riscontri affermativi, contribuendo ad aprire canali di confronto e discussione e permettendo a molti non ebrei di osservare, con uno sguardo inedito, le realtà comunitarie, il loro dibattito, le tante differenzioni. Su quest’ultimo punto, si impone inoltre un ragionamento pacato, ma severo sul modo di porsi rispetto alle tante sollecitazioni che arrivano dal mondo della comunicazione.
L’ebraismo non è parte politica ma è recepito, da non pochi osservatori, tra i meno avveduti, come un soggetto capace di esercitare una qualche interdizione, anche di ordine indirettamente politico. La questione è delicata perché se male posta rischia di ingenerare fraintedimenti clamorosi. Il modo in cui ci si raffigura, e si è raffigurati, è oggi dirimente per la maniera stessa in cui poi concretamente si vive se stessi. E proprio a tale riguardo, evitando dilaceranti confronti il cui unico esito è il rinnovarsi di contrapposizioni precostituite, dove ognuno cerca di portare a sé una coperta un po’ troppo corta (con il rischio, poi, che questa si rompa o comunque veda smagliarsi il tessuto), si imporrebbe una franca riflessione sulla dialettica tra centro e periferia, un nodo laddove le strozzature coesistono con le potenzialità. Più che un bislacco e fazioso esercizio di imputazione di responsabilità su pregressi egemonismi vale invece la pena d’interrogarsi sulle dinamiche secolari che attraversano l’ebraismo peninsulare e sui suoi sviluppi venturi.
Nel Congresso non si riuniscono degli indovini, ma neanche dei maniaci cultori di un passato tanto mitologico quanto cristallizzato. La domanda di fondo demanda alla definizione, in chiave aperta, su quale siano le specificità di una identità ebraica italiana. Ovvero se essa esista e in caso affermativo, così come andiamo pensando, in quali termini venga declinata dalle diverse realtà territoriali e sociali in cui si manifesta. Laddove ciò richiama il tema del pluralismo nell’essere ebrei. Da ciò derivano infine alcuni temi culturali di fondo: intanto il profilo socio-demografico delle Comunità, con il declino delle iscrizioni in più di un caso (e della partecipazione in altri), rimanda alla necessità di rifarsi non ad un generico rinnovamento di circostanza ma a una rinnovata attenzione nei confronti dei giovani, nei termini anche di una loro maggiore responsabilizzazione.
Si tratta, in questo caso, di dare vita ad una politica culturale che riesca a baricentrarsi sulle esigenze e sulle identità di chi è giovane ebreo, non in contrapposizione alle altre classi di età ma nella consapevolezza che identità oggi più che mai si lega a mutamento. Da ciò poi il rapporto con Israele che è imprescindibile ma non esclusivo. La dialettica tra diaspora e Gerusalemme non può risolversi in una semplice sovrapposizione. Una tentazione, quest’ultima, che potrebbe rivelarsi fatale. La forza dell’ebraismo sta nel mutamento attraverso la tradizione. Si tratta di leggersi e rileggersi alla luce di una candela che non si esaurisce mai poiché rischiara sempre nuovi orizzonti.

Claudio Vercelli, storico, Pagine Ebraiche, dicembre 2010