Ucei a congresso – La relazione del Presidente

La relazione generale del Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche, Renzo Gattegna, che ha tracciato un quadro dell’attività svolta e ha invitato i delegati al dibattito elencando punto per punto le prospettive e le problematiche su cui gli ebrei italiani sono chiamati a scegliere, ha aperto la seconda giornata del Congresso UCEI. Ecco il testo integrale della relazione.

“Il nostro futuro, la continuità della presenza ebraica in Italia, dipenderanno dalla capacità che dimostreremo di saper conservare la nostra identità e confrontarci con la realtà in cui viviamo.
La prima approfondita analisi dobbiamo rivolgerla verso noi stessi e verso le nostre condizioni di vita.
Dobbiamo prendere coscienza che, per la prima volta dopo due millenni, a partire dagli anni 1945-1948, tutto l’ebraismo mondiale è entrato in una nuova era, vive in un’altra dimensione, si è profondamente trasformato e non può più applicare gli stessi schemi di ragionamento e le stesse categorie del passato.
Nella seconda metà del Ventesimo secolo le condizioni delle comunità ebraiche si sono evolute verso una maggiore libertà di vita, di espressione e di organizzazione in modo tale da rendere superate, inutili e persino dannose tutte quelle forme di autodifesa e di ripiegamento in se stesse che da secoli erano state costrette ad adottare.
In realtà è vero che sopravvivono ancora forme sia palesi che subdolamente mascherate di antisemitismo, ma è anche vero che, spesso affrontando drammatiche emigrazioni di massa, quasi tutte le comunità ebraiche hanno abbandonato i paesi retti da regimi totalitari, nei quali non esistevano e non esistono garanzie di rispetto dei diritti delle minoranze e attualmente vivono in realtà più o meno democratiche nelle quali comunque non esistono ghetti, persecuzioni legalizzate o pogrom.
Questo cambiamento delle condizioni di vita ha prodotto un cambiamento negli ebrei stessi, che sono diventati pienamente consapevoli dei propri diritti, hanno trovato la forza e la determinazione per pretenderne il rispetto. E per di più hanno sviluppato disponibilità, prontezza, capacità di comunicare e, finalmente, di rompere la secolare spirale negativa che, partendo dall’isolamento fisico e culturale dei ghetti, creava terreno fertile per preconcetti, pregiudizi, diffidenze, odio, persecuzioni.
Non possiamo che provare un sentimento di ammirazione nei confronti delle generazioni che ci hanno preceduto le quali, costrette a vivere in società ostili ed educate al disprezzo, sono riuscite ad adattarsi, a reagire e a sopravvivere mantenendo ben saldi i propri valori e la propria cultura.
Ma nella realtà contemporanea è importante e urgente prendere collettivamente coscienza dei cambiamenti che sono intervenuti e non sottovalutare che è toccato in sorte alle nostre fortunate generazioni di assistere al crollo delle grandi dittature persecutrici del secolo scorso e di vedere nascere sotto i propri occhi lo Stato d’Israele.
Con cautela e con prudenza ora possiamo ampliare le nostre prospettive di vita, possiamo pianificare il futuro, possiamo svolgere il ruolo che ci compete nell’ambito di una società di cui siamo parte integrante.
Sarebbe colpevole ignorare o non considerare adeguatamente che pur esistendo ancora gruppi e frange ostili, nella società abbiamo acquisito anche amici che, in diverse occasioni, si sono dimostrati pronti a collaborare e a battersi assieme a noi per il rispetto dei nostri diritti.
Questa stessa società, forse per la prima volta da tempo immemorabile, dimostra interesse e desiderio di conoscenza della nostra cultura, delle nostre tradizioni e della nostra religione, come se avesse acquisito la consapevolezza dell’apporto fondamentale dell’ebraismo alla civiltà dell’Occidente democratico.
Da diverse parti pervengono forti e ripetuti segnali di invito a partecipare e a confrontarci.
A tale richiesta di apertura e di condivisione non è possibile né opportuno sottrarsi e quindi nasce immediatamente l’esigenza di essere all’altezza di questa nuova sfida attraverso l’impegno di tutti, giovani e adulti, a svolgere ruoli attivi, a partecipare a programmi di formazione permanente e di aggiornamento, per elevare, in maniera costante e sistematica, il proprio livello culturale.
Questa elevazione deve riguardare la cultura in ogni suo aspetto per acquisire un’adeguata conoscenza di noi stessi e una preparazione idonea ad ampliare la visuale oltre i nostri confini. Nel mondo attuale le potenzialità di qualsiasi gruppo non si misurano più solo in base alla consistenza numerica, ma soprattutto dal livello culturale e dalla capacità di utilizzare i mezzi più moderni di studio, di informazione e di comunicazione.
Vorremmo che si aprisse una riflessione comune tra i consiglieri delle Comunità e i rabbini, la cui presenza e il cui apporto è indispensabile perché sarebbe sterile, inadeguato e inutile che i dirigenti pretendessero di parlare di ebraismo senza i loro Maestri, come d’altra parte sarebbe impossibile per i rabbini parlare dell’organizzazione della vita comunitaria senza la partecipazione dei dirigenti.
Questo risultato può essere conseguito valorizzando il ruolo del rabbinato italiano, formando rabbini sempre più qualificati e più adeguati a trovare risposte alle domande del presente, e sempre coerenti con la tradizione italiana che nei secoli è riuscita a combinare rigore e apertura. Per questo è necessario costruire nuove intese con i nostri Maestri e contemporaneamente portare, con rispetto e con intensità, alla loro attenzione i problemi che emergono dalla nostra vita di ebrei contemporanei.
Tutto ciò richiede un grande sforzo e la ferma volontà di effettuare un allargamento dei temi e dei campi sui quali si è concentrata l’attenzione e la ricerca nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale.
La memoria della Shoah da una parte e il sostegno allo Stato d’Israele dall’altra, sono stati i catalizzatori dell’interesse e degli sforzi creativi elaborati in questi anni. Ritengo che i tempi siano maturi per aggiungere una seria e approfondita analisi di tutte le problematiche che riguardano le comunità sparse nel mondo, con una particolare attenzione alle specifiche caratteristiche di quelle italiane.
Queste valutazioni sono state il presupposto dal quale siamo partiti per adottare la strategia dell’ultimo quadriennio, durante il quale, avendo preso coscienza del forte calo demografico che sta riducendo drammaticamente il numero degli iscritti alle Comunità, si è cercato di individuare i mezzi giusti e adeguati per reagire a questa tendenza.
Se volessi tentare di sintetizzare in poche parole le idee guida, la linea strategica adottata dall’Unione direi:
Rompere qualsiasi forma di isolamento sia rispetto ad altre comunità, che rispetto alla società di cui facciamo parte.
Rifiutare di emarginare e di essere emarginati, senza per questo accettare compromessi sui nostri principi e i nostri valori.
Abbattere barriere di separazione di qualsiasi genere, convinti che dopo aver aperto i cancelli dei ghetti non sarebbe giusto, sano e lungimirante richiuderci volontariamente in spazi chiusi di tipo culturale, sociale o psicologico.
In definitiva, respingere timori, paure o diffidenze, non perché i pericoli siano magicamente scomparsi, ma perché qualsiasi strategia basata sulla paura sarebbe, come spesso è stata in passato, solo un incentivo a colpirci, a umiliarci, a perseguitarci.
Abbiamo ritenuto necessario, davanti a obbiettivi così ambiziosi, ricercare ogni forma di collegamento e di collaborazione tra le varie componenti ideologiche e tra le diverse comunità sparse nel territorio.
E’ un’esigenza imprescindibile creare una migliore capacità di sintesi e di gestione collegiale delle questioni più importanti, sulle quali spesso è necessario che l’ebraismo esprima posizioni che siano state preventivamente elaborate in maniera non frammentaria.
Se la velocità di spostamento delle persone e di trasmissione delle informazioni ha fatto nascere una comunità internazionale in costante collegamento rispetto alla quale il fattore della distanza fisica è quasi ininfluente, nel mondo ebraico l’effetto è stato ancora più rilevante, perché ha definitivamente rotto l’isolamento che in passato aveva contribuito ad accentuare le differenze fra ebrei di origini e tradizioni diverse.
Dovremmo prendere atto che il concetto stesso di “diaspora” ha subito una trasformazione così rilevante da costituire per gli ebrei una vera e propria rivoluzione culturale.
Infatti si è attenuata la distanza e la differenza tra Israele e Diaspora.
Se il mondo è più piccolo, se tutta l’umanità è in costante movimento, se nessuna cultura vive più chiusa in luoghi o in ambiti circoscritti, se l’emigrazione e la diaspora sono diventate condizioni largamente diffuse e non sono più vissute come eventi tragici o drammatici, ma in molti casi come sinonimi di mobilità, di modernità, di capacità di aggiornamento culturale e di ricerca di approfondimento specialistico nelle discipline più varie, se la diaspora è cercata e desiderata, allora non esiste più la Diaspora, quella che gli ebrei hanno vissuto per secoli.
Riguarda da vicino gli ebrei l’idea rivoluzionaria della Diaspora intesa come condizione se non privilegiata almeno normale e non traumatica e, nel nostro caso specifico, tale da modificare il rapporto con Israele.
Cambia totalmente la prospettiva se la speranza di essere “l’anno prossimo a Gerusalemme” viene diretta verso una città simbolo, ideale, mitica, che ognuno può immaginare diversa, seguendo la fantasia, o verso una località reale, concreta e facilmente raggiungibile con un comodo viaggio, in poche ore.
Gli ultimi sessanta anni hanno aperto una finestra di totale libertà, rispetto, normalità nella partecipazione alla vita politica e sociale della nazione, creando un’occasione nuova, forse irripetibile, per difenderci efficacemente da tutti i nostri avversari vecchi e nuovi.
Solo realizzando un ebraismo proiettato verso il futuro, protagonista attivo, aperto e dialogante, perché stabile e sicuro di sé, dei propri valori e della propria identità potremo esercitare le nostre facoltà e i nostri diritti e occupare, in tutti i campi e a tutti i livelli, lo spazio che ci spetta.
Il raggiungimento di obbiettivi così numerosi e così ambiziosi presuppone che tra le Comunità e tra le diverse correnti di pensiero si stipuli un nuovo patto civile, sociale, culturale e politico che preveda e regoli una vivace dialettica interna e una fraterna unità per far fronte alle sfide future.
Un futuro che dovrà essere affrontato, come è nelle nostre migliori tradizioni, senza idoli e senza dogmi, senza intolleranza e senza fanatismo.
Gli ebrei che hanno subito sulla propria pelle le gravi violazioni dei diritti e i drammatici eccessi ai quali può portare qualsiasi forma di teocrazia, sono nella posizione ideale per sostenere, sia in linea di principio che nella vita del nostro paese, il rigoroso rispetto della laicità dello Stato, così come è sancito nella Carta Costituzionale.
Allo stesso modo la laicità, non intesa come antitesi alla religiosità, ma come libertà di opinione e di parola, contro qualsiasi discriminazione o compressione dei diritti fondamentali, deve essere e rimanere una regola fondamentale, scrupolosamente rispettata all’interno delle nostre istituzioni, così come è sancito nelle norme contenute nell’Intesa e nello Statuto.
Questo Congresso prevede all’ordine del giorno l’esame e l’eventuale approvazione di rilevanti modifiche dello Statuto, alla cui stesura ha lavorato per due anni l’apposita Commissione incaricata di predisporre un testo base. Voglio ribadire l’intenzione, già molte volte espressa, di apportare solo innovazioni che rispondano all’interesse generale di migliorare il collegamento fra tutte le Comunità italiane anche attraverso l’entrata a pieno titolo dei rispettivi presidenti nei Consigli dell’Unione, e di rendere più moderna, efficiente e sinergica l’organizzazione del lavoro.
Di fronte a diffuse perplessità iniziali, il Consiglio assunse l’impegno di organizzare riunioni in varie sedi per informare e discutere il progetto con i responsabili di tutte le comunità. Assicurò altresì che non sarebbe stato alterato il criterio di rappresentanza e i rapporti di forza e infine che, allo scopo di evitare lacerazioni, la riforma sarebbe stata portata avanti solo se si fosse realizzata un’ampia condivisione e una significativa convergenza.
Sono gli stessi principi che il Consiglio decise di adottare, come ordinario metodo di lavoro, fin dall’inizio del mandato che si sta concludendo e che certamente non vuole disattendere proprio di fronte a un tema così qualificante.

Fin dall’inizio il Consiglio decise a larghissima maggioranza di formare una Giunta unitaria e allargata allo scopo di coinvolgere tutti in funzioni operative rispettando le capacità e le attitudini di ognuno, prescindendo dagli schieramenti congressuali.
Il sistema si è rivelato efficace e lavorando insieme, è stata sanata la drammatica spaccatura verificatasi nel corso del precedente congresso, si sono evitate inutili dispersioni di energie ed è stato possibile creare una squadra che non ha mai rinunciato a ricercare l’unità nella discussione fraterna, talvolta aspra, ma sempre rivolta a cercare e decidere insieme democraticamente, le linee guida da percorrere.
L’idea forte che il Congresso dovrebbe prendere in considerazione è la rigorosa salvaguardia dell’identità e dell’autonomia di ogni comunità e di ogni ebreo italiano, ma nel quadro di una dimensione nazionale che permetta a tutti di usufruire dei servizi necessari.
L’obbiettivo è quello di rivitalizzare tutti i centri attraverso la creazione di un nuovo organismo rappresentativo, il parlamento dell’ebraismo italiano, che assuma le caratteristiche e le funzioni del Congresso e del Consiglio.
Il dibattito congressuale costituirà in questo processo di formazione e di definizione un passaggio fondamentale. Fra i numerosi temi in discussione che credo meritino un confronto attento, voglio indicare anche i seguenti, accompagnandoli da alcune prime indicazioni derivate dall’esperienza di questi anni di lavoro che potranno essere integrate da interventi dei responsabili di ogni settore.
La dimensione nazionale, l’articolazione dell’ebraismo italiano in ventuno Comunità, piccole o grandi che siano, è interesse strategico di tutti, a cominciare dalle più grandi. Sotto questo profilo ognuna delle Comunità, anche la più piccola, rappresenta una realtà preziosa e insostituibile che deve essere strenuamente difesa e tutelata.
La rigorosa tutela dell’autonomia e delle identità locali è un bene prezioso, ma non può comportare la chiusura nel campanilismo, nel provincialismo, nell’incapacità di cooperare per realizzare assieme grandi progetti.
Ferma restando la più rigorosa salvaguardia della tradizione storica dell’ebraismo italiano, il pluralismo e le diverse identità in esso contenuto devono essere riconosciute e rappresentate dalle istituzioni.
Il decentramento deve essere perseguito con decisione, concretezza e realismo a partire dalle esperienze già acquisite e già avviate. Deve essere un programma riempito di significati concreti, non può ridursi a uno slogan, alla dislocazione e alla proliferazione degli organici, in base alle preferenze e ai gusti personali dei singoli professionisti coinvolti.
L’impegno sul fronte della cultura non può risolversi nell’investire sulle strutture di formazione e di educazione che operano sul fronte interno, ma deve tradursi anche in progettualità proiettata verso il mondo esterno. La cultura è il linguaggio che deve consentirci di essere presenti in maniera efficace nella società in cui viviamo, di testimoniare e di difendere i nostri valori. In questo senso sono state orientate tutte le edizioni della Giornata della cultura che sono diventate un importante appuntamento annuale per ricevere “a porte aperte” tutta la cittadinanza nelle nostre sinagoghe, nei nostri musei e in tutti i luoghi nei quali esistono segni della presenza ebraica passata o presente.
Il nostro impegno sul fronte della Memoria della Shoah non deve mai perdere d’intensità. Rimane l’esigenza e il nostro dovere verso le future generazioni di recuperare e ricostruire la solarità della cultura ebraica, valorizzando la sua capacità innovatrice e creativa e profondamente connessa con il senso della vita.
Una politica per i giovani non può ridursi all’organizzazione di occasioni di incontro e di svago, ma deve creare gli strumenti per la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro di ebrei italiani consapevoli e competitivi. L’esperienza di formazione dei praticanti giornalisti in seno alla redazione del Portale dell’ebraismo italiano, che porterà cinque giovani appartenenti a diverse comunità a sostenere in primavera la prova di idoneità professionale e a divenire giornalisti professionisti, si sta rivelando positiva e merita di essere seguita con attenzione e ripetuta.
La nostra strenua difesa dei valori rappresentati dallo Stato di Israele e della sua sicurezza non deve ridursi alla ripetizione delle sue ragioni nell’ambito della polemica generata dal conflitto mediorientale, ma deve spingersi fino a dimostrare la profonda distorsione operata da coloro che interpretano e raccontano Israele attraverso il conflitto, deve spingersi fino alla dimostrazione che Israele rappresenta un patrimonio di esperienze, di politica, di cultura, di scienza e di economia prezioso e insostituibile per l’intero mondo progredito o che vuole progredire.
Il ragionamento sui criteri di ripartizione delle risorse economiche non deve oscurare la necessità di elaborare una nuova strategia di raccolta delle risorse. Piuttosto che accrescere la conflittualità su come dividere una torta sempre più piccola dobbiamo accrescere la nostra capacità di ingrandire la torta.
La raccolta dell’Otto per mille è insoddisfacente e insufficiente e il risultato denuncia una scarsa capacità della minoranza ebraica italiana di intrattenere un dialogo efficace con la società circostante e di testimoniare i propri valori.
La raccolta dell’Otto per mille non costituisce una rendita automatica assicurata, ma un bene che deve essere tutelato, riconquistato di anno in anno e per quanto possibile accresciuto.
Tale tutela non può derivare da campagne pubblicitarie che si riducono a esprimere slogan generici, ma deve partire dalla capacità di diffondere il messaggio e la testimonianza degli ebrei italiani.
Il lavoro sull’informazione e la comunicazione ha portato alla creazione di:
– una Rassegna stampa che raccoglie ogni anno circa 100 mila schede
– un notiziario quotidiano, l’Unione informa, che raggiunge regolarmente circa cinquemila abbonati
– un Portale per l’ebraismo italiano, Moked, che ha richiamato dalla sua fondazione oltre 200 mila visitatori unici
– un giornale dell’ebraismo italiano, Pagine Ebraiche, con una diffusione media di 30 mila copie, che ha conquistato in un anno di vita una notevole visibilità
– un giornale dedicato ai giovanissimi, DafDaf, un laboratorio e un punto di riferimento per coloro che lavorano sul fronte dell’educazione, per le giovani famiglie e per i bambini.
L’impegno a rafforzare questi media non deve far dimenticare la necessità di migliorare e intensificare la nostra presenza sul fronte dell’emittenza radiotelevisiva e di dotare le istituzioni dell’ebraismo italiano di un ufficio stampa e pubbliche relazioni adeguato alle nuove strategie.
Concludo con alcuni ringraziamenti non formali, ma veramente sentiti, al Consiglio uscente per aver sostenuto e affiancato la Giunta e il Presidente per tutta la durata del mandato, alla Giunta che si è rivelata una vera squadra di persone che lavorando assieme hanno consolidato stima e amicizia, ai professionali e ai dipendenti che hanno collaborato con lealtà nella ricerca di una sempre maggiore efficienza, ai rappresentanti di tutte le Comunità con i quali è stato bello e stimolante costruire una rete di collegamento. Rivolgo un affettuoso saluto a tutti dopo aver dedicato all’Unione, nei quattro anni trascorsi, tempo e lavoro al meglio e nei limiti delle mie capacità e sono consapevole del superiore valore che mi è stato da voi concesso conferendomi l’onore di rappresentare l’Ebraismo Italiano.

Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane