I racconti di Giosafatte

E’ stato presentato, domenica scorsa, presso la libreria Edicolé di Arco Felice (nel Napoletano), un libro davvero prezioso, intitolato I racconti di Giosafatte e del suo settimo nipote. L’identità ebraica svelata, scritto da Rosso Capuano – docente di Bacoli di Lingua e Letteratura inglese, nato nel 1946 a Torre Gaveta, alla sua prima esperienza letteraria – e pubblicato da un benemerito e coraggioso Editore puteolano, Antonio Pisano. Il volume – corredato da una prefazione di Ottavio Di Grazia e una postfazione di Giovanni Pugliese – offre la lettore, tradotti in italiano dall’originario dialetto, i racconti ascoltati personalmente da Capuano, quando era bambino, da suo nonno Giosafatte, ispirati all’antica cultura popolare degli ebrei dell’area flegrea (la cui presenza è attestata fin dal secondo secolo a.C., ed è sopravvissuta, nei secoli, tra mille avversità, segretamente affidata a quelle famiglie di marrani – fra cui i Capuano – che riuscirono a sfuggire all’espulsione del 1510 e alle successive persecuzioni). Scritti in una gradevolissima prosa, intrisa di nostalgia, poesia, tenerezza, i singolari midrashìm flegrei permettono di accostarsi a un vero tesoro nascosto, che, finora affidato soltanto alla fluttuante e precaria tradizione orale, trova finalmente nella carta stampata un punto d’approdo.
Il significato e il valore del lavoro di Capuano è mirabilmente espresso nella prefazione di Di Grazia, di cui, col suo permesso, riportiamo uno stralcio:
“La tradizione ebraica è caratterizzata dall’imperativo categorico zachor, ‘ricorda’. Gli ebrei, scriveva Martin Buber nel 1938 ‘sono una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere’.
Il verbo zachar , nelle sue varie forme, ricorre nella Bibbia ben 222 volte e nella maggior parte dei casi ha per soggetto o Israele o Dio. La memoria, infatti, incombe su entrambi. Il concetto di ricordare trova il suo completamento in quello di segno opposto: dimenticare. Al popolo ebraico viene ingiunto di ricordare e al tempo stesso di non dimenticare. Nelle ultime parole di congedo, Mosè raccomanda al popolo: ‘Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi, interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno’ (Dt 32, 7). Saremmo indotti in errore se ritenessimo questa affermazione come un invito a fondare l’esistenza sul passato che pure ci appartiene. Mosè, al contrario, intende insegnare che da una generazione all’altra viene trasmesso un patrimonio la cui ricchezza si accresce costantemente sia per i nuovi fatti che accadono, sia per i nuovi messaggi e le nuove emozioni che ci troviamo a vivere. La memoria, allora, custodita di generazione in generazione è l’antidoto più potente contro la morte e rappresenta, con ferma determinazione, la volontà di non abbandonare nel nulla le tracce di ciò che è trascorso ed è ormai, sembrerebbe, sparito dalla storia. Ma, seppure sparito, il passato non è qualcosa privo di utilità, di sorpassato, al contrario, costituisce un valido aiuto ad affrontare la vita, a capire il presente e a costruire un futuro. Ricordare, quindi non è un semplice rievocare il passato, poiché la catena della trasmissione del ricordo non solo custodisce l’evento stesso, ma lo riattiva, lo potenzia, lo restituisce a nuova vita dal momento in cui viene rimesso nel circolo della narrazione. Tutto ciò è esattamente ciò che fa Rosso Capuano con questi Racconti di Giosafatte e del suo settimo nipote. Queste storie nascono dal vorticoso fluire della memoria: soggettiva e collettiva. Storie narrate dal nonno dell’autore Giosafatte o Giusafàt, come suona nel dialetto della sua terra, Bacoli, terra di miti e leggende, di storie cancellate, di migrazioni, di storie di abbagliante bellezza. Storie di storie narrate seduto sulla panchina della stazione di Torregaveta, capolinea della ferrovia Cumana, accompagnato ‘come un’ombra’ dal suo amico Ciccillo Guardascione, o nelle sere d’inverno, quando dopo il tramonto c’era ancora voglia di seguire il richiamo della luce che affiorava da una straordinaria epopea, di cui Giosafatte era un prezioso cantore. Storie che attraversavano luoghi che erano immagini di memoria illuminate da un particolare, da un dettaglio che poteva sembrare arbitrario, che commuoveva, che intrigava e che apriva a potenziali altre storie come un infinito midràsh, attraverso l’affascinante fondersi di segni e parole in irreversibile espansione”.
Un libro speciale, per grandi e piccoli, che fa riflettere e sognare, che spinge al sorriso e alla malinconia. E una strenna davvero ideale.

Francesco Lucrezi, storico