Voci a confronto
Due notizie importanti per la situazione mediorientale oggi spiccano sui giornali: il procuratore del tribunale internazionale per il Libano ha consegnato al giudice le richieste di incriminazione degli assassini del primo ministro Hariri, sei anni fa, e tutti sanno che si tratta di dirigenti di Hizbullah, ma sembra che la catena dei mandanti si estenda fino alla “guida suprema” dell’Iran, Ali Khamenei (notizia non firmata sul Corriere). La decisione del tribunale sulle richieste si saprà fra un paio di settimane, per ora il processo politico è bloccato: il presidente Suleiman ha sospeso le consultazioni per la formazione del nuovo governo dopo l’abbandono dei ministri di Hizbollah e la mediazione internazionale sembra affidata al premier turco Erdogan, il che certamente non è una buona notizia, visti i suoi legami con l’Iran (editoriale non firmato del Foglio).
La seconda notizie è la scelta del ministro della difesa israeliano Barak di uscire da Avodà (il partito laburista) per formare un nuovo gruppo politico chiamato Atzmaut (indipendenza).In minoranza nel partito di cui era il leader, essendosi reso conto che nelle strutture del partito prevaleva una spinta di sinistra contraria agli orientamenti dell’elettorato e al bisogno di Israele di essere governato in un momento così difficile, Barak ha prevenuto le manovre dei suoi concorrenti interni per estrometterlo e portare Avodà fuori dal governo (Charles Levinsohn sul Wall Street Journal. Dato che gli otto rimasti votavano già spesso contro Netanyahu e gli resta una maggioranza di 66 voti contro 54 alla Knesset, il governo non esce certo indebolito dalla scissione, ma reso più compatto e meno vulnerabile (notizie non firmate sul Corriere della Sera). In molti, fra cui Fabio Scuto su Repubblica vedono la cosa dal punto di vista della fine del partito laburista, ridotto ora a 8 deputati (quanti gliene assegnano i sondaggi, del resto), cui si sommano i 3 della sinistra estrema di Mapam: dieci per cento dell’elettorato. Ma intanto non è vero che Avodà fosse il partito di tutta la storia di Israele, perché anch’esso veniva da un processo di aggregazioni e scissioni continue e la sua crisi dura da decenni e in particolare si è approfondita con la delusione dell’elettorato israeliano per il processo di pace, sicché, come commenta Alessandro di Maio su Libero, la sinistra israeliana è “in via di estinzione”.
Fra le altre notizie internazionali, da leggere la ricostruzione di Riccardo Radaelli sell’Avvenire, della “guerra ombra” che si svolgerebbe intorno all’atomica iraniana. Luigio Spinola su Il Riformista polemizza giustamente sull’idea espressa dal Ministro degli esteri Frattini per cui Gheddafi rappresenterebbe la faccia positiva e “riformista” dei regimi arabi del Maghreb. In Francia vi è una polemica intorno al rifiuto della Scuola Normale (su richiesta del Crif, l’organismo rappresentativo del mondo ebraico) di ospitare un incontro con Stéphane Hessel, il novantatreenne che ha scritto un pamphlet sul dovere di indignarsi in cui se la prende soprattutto contro Israele. L’incontro doveva lanciare una campagna di boicottaggio, che in Francia è proibita dalla legge (Stefano Montefiori sul Corriere)
Per quanto riguarda l’Italia, un articolo siglato G. Rugg. Sull’Avvenire fa la cronaca dell’incontro in occasione della giornata del dialogo ebraico-cristiano sulla quinta parola del Decalogo, cui a Roma ha parteciparo Rav Di Segni; il Secolo XIX annuncia le iniziative genovesi per il Giorno della Memoria. Il Corriere nell’edizione romana presenta la mostra organizzata per la stessa occasione dalla galleria di Ermanno Tedeschi. Sempre sul Corriere è interessante leggere la recensione di Alessandro Piperno al pamphlet di Pierluigi Battista “Lettera a un amico antisionista”, una risposta ideale allo scritto antisraeliano pubblicato da Sergio Romano qualche anno fa.
Ugo Volli
18 gennaio 2011