Ebrei e cristiani insieme a Vercelli
Accogliendo alla Sinagoga di Vercelli, assieme alla presidente della Comunità Rossella Bottini Treves, in occasione della Giornata di riflessione ebraico-cristiana, il vescovo Enrico Masseroni e il pastore valdese Franco Tron, la vicepresidente dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane Claudia De Benedetti ha pronunciato il seguente indirizzo di saluto:
“Autorità, Signore, Signori, Padre Enrico, come vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, desidero esprimerLe la viva soddisfazione per la Sua visita ed il nostro più sincero e sentito Baruch Ha ba be Shem Ad-nai – Sia Benedetto Colui che viene nel Nome del Signore.
Essa si ricollega all’insegnamento delle Loro Santità i Papi Benedetto XVI e Giovanni Paolo II ed ancor più al Loro predecessore Giovanni XXIII, il primo Papa che in una mattina di sabato si fermò a benedire gli ebrei di Roma che uscivano dal Tempio dopo la preghiera, e si inserisce nella scia del Concilio Vaticano II che, con la Declaratio “Nostra Aetate…”, ha prodotto, nei rapporti della Chiesa con l’Ebraismo quel miglioramento che ha reso possibile la Sua odierna visita.
Il mio pensiero in questo momento si rivolge con ammirazione, con riconoscenza e con rimpianto all’infinito numero di martiri ebrei che serenamente affrontarono la morte per la Kiddushat Ha Shem, la santificazione del Nome di D-o. Ad essi va il merito se la nostra fede non ha mai vacillato e se la fedeltà al Signore ed alla Sua Legge non è mai venuta meno nel lungo volgere dei secoli. Per il loro merito il popolo ebraico vive ancora, unico fra tutti i popoli dell’antichità.
Non possiamo dunque dimenticare il passato, ma vogliamo oggi continuare con fiducia e con speranza questo periodo storico che, come ebbe a dire il Rabbino emerito della Comunità Ebraica di Roma Elio Toaff, si annuncia fecondo di opere comuni svolte su un piano di parità, di uguaglianza e di stima reciproca nell’interesse di tutta l’umanità.
Ci proponiamo di diffondere l’idea del monoteismo spirituale e morale d’Israele per raccogliere gli uomini e l’universo nell’amore, nella potenza e nella giustizia di D-o, che è il D-o di tutti, e di portare la luce alla mente e al cuore della gente per far fiorire nel mondo l’ordine, la morale, il bene, l’armonia e la pace.
Nello stesso tempo riaffermiamo la universale paternità di D-o su tutti gli uomini, ispirandoci ai profeti che l’hanno insegnata quale amor filiale che congiunge tutti gli esseri viventi al seno materno dell’infinito, come alla loro matrice naturale.
Siamo quindi noi uomini che dobbiamo essere presi in considerazione.
L’uomo che è stato creato da D- o a Sua immagine e somiglianza nell’intento di conferirgli una dignità ed una nobiltà che può mantenere solo se vorrà seguirne l’insegnamento.
Nel Deuteronomio è scritto: “Voi siete figli del Signore vostro D-o” per indicare il rapporto che deve legare gli uomini al loro Creatore, un rapporto da padre a figlio, di amore e di benevola indulgenza, ma anche un rapporto di fratellanza che deve regnare fra tutti gli esseri umani.
Il nostro compito comune nella società è dunque quello di cercare di insegnare ai nostri simili il dovere del rispetto dell’uomo per l’uomo, dimostrando l’iniquità di quei mali che affliggono il mondo come il terrorismo, che è l’esaltazione della violenza cieca e inumana e che colpisce innocenti, l’antisemitismo ed il razzismo, che vanamente credevamo per sempre debellati dopo l’ultimo conflitto.
La condanna che il Concilio ha pronunciato contro qualunque forma di antisemitismo dovrebbe essere rigidamente applicata, come pure la condanna di ogni violenza, per evitare che l’intera umanità affoghi nella corruzione, nell’immoralità, nell’ingiustizia.
Eminenza, in questo significativo momento nella storia dei rapporti fra le nostre due religioni, mentre il cuore si apre alla speranza che alle sciagure del passato si sostituisca un fruttuoso dialogo che, pur nel rispetto delle esistenti diversità, dia a noi la possibilità di un’azione concorde, di una cooperazione sincera e onesta per il raggiungimento di quei fini universali che sono nelle nostre comuni radici, mi consenta di concludere queste mie riflessioni con le parole del Profeta Isaia: “Io gioisco nel Signore, giubilo nel mio Dio che mi ha rivestito degli abiti della salvezza, ha avvolto nel santo della giustizia, come uno sposo che cinge la corona, come una sposa adorna dei suoi monili. Come la terra produce la sua vegetazione e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Iddio farà germogliare la giustizia e sarà oggetto di riconoscenza da parte di tutte le genti”.
26 gennaio 2011